Pelè, si spegne un altro “mito” del Novecento

 
 

Il calciatore del secolo, il giocatore dei record, “o Rei” del calcio Edson Arantes do Nascimento (1940-2022), meglio conosciuto come Pelè, è morto. Pelè non è stato solo un calciatore di straordinario carisma e talento, ma anche un idolo che ha saputo appassionare tutto e tutti. Di ruolo attaccante, i suoi gol in carriera sono stati 1281 in 1363 partite (una media goal di 0,95 a partita, nessuno prima di lui), per due decenni bandiera del Santos con cui è stato campione intercontinentale, e stella della nazionale brasiliana con la quale ha vinto 3 mondiali, tra cui due consecutivamente: Svezia 1958, Cile 1962, Messico 1970, diventando l’unico calciatore a vincere 3 edizioni del campionato del mondo. Ha concluso la sua carriera calcistica negli USA a metà degli anni ‘70. Con la morte di Pelé, un pezzo di storia del calcio mondiale (un altro, se pensiamo a Paolo Rossi, Diego Armando Maradona e Gianluca Vialli) se ne va. 

Per alcuni è stato l’emblema di un calcio che fa divertire, di un gioco rapido e propositivo; un esempio di atleta potente e veloce (anche se non fisicamente imponente) in grado di abbattere qualsiasi difesa, anche quella forte dell’Italia nella finale messicana. Per altri invece Pelé è stato tanto altro: da attore a musicista, da testimonial ad ambasciatore. Il suo talento lo ha portato sul tetto del mondo non solo in termini calcistici. Anche per l’industria del cinema fu un’icona. Tutti ricorderanno “Fuga per la vittoria” (1981) in cui Pelè sbalordisce tutti segnando con un gesto tecnico che tutti provano a fare ma pochi ci riescono: una rovesciata spettacolare. Il tuo talento è stato così ammirato e considerato che perfino una guerra si è ferma per guardarlo. Epico fu l’episodio della tregua di 48 ore tra le fazioni che diedero vita alla guerra civile in Nigeria per l’amichevole disputata nel Biafra: correva l’anno 1969. Appese le scarpette al chiodo, Pelè ha continuato ad essere un influente personaggio anche come Ministro dello sport in Brasile. 

La storia calcistica di Pelè ha dato vita a quello che è il calcio moderno, non solo in termini di tattica e di preparazione. Egli è stato in campione che ha saputo dare significato ad un numero, il numero 10, che è diventato sinonimo del calciatore che ha fantasia, tecnica, capacità di saltare l’uomo, bellissimo da vedere in mezzo al campo, uno spettacolo per gli occhi. Con Pelè il calcio è diventato un’industria. Pelè senza volerlo ha dato inizio all’uso e abuso dell’immagine del calciatore. Si può dire che con Pelè si sono avuti i primi esempi di “sfruttamento” dell’immagine dei più bravi e talentuosi calciatori del momento. Ricordiamo le amichevoli in giro per il mondo per incrementare le casse del Santos, le tante pubblicità, l’approdo in America. Con Pelè, lo status di calciatore è diventato quello del “personaggio”. 

Sic transit gloria mundi (così passa la gloria del mondo). Un altro mito del Novecento se ne è andato. Al funerale lo hanno portato in giro come in una processione religiosa. Gli hanno costruito un mausoleo per ricordarne le gesta eroiche, quasi dovesse diventare un tempio per i tifosi-adepti. In alcuni commenti si sono sentiti toni quasi fosse già in atto un culto della memoria ad un dio dello sport. Come è possibile? E’ possibile perché anche il secolo della tecnica, della finanza e ora della tecnologia ha bisogno di miti. Dove Dio non è al centro della vita, il vuoto è rimpiazzato da “miti” sportivi, politici, economici, ecc. ma pur sempre “miti”, cioè uomini o donne elevati al rango di “dèi” con cui identificarsi, con cui sognare una vita migliore, a cui affidare la vita.

Ora Pelè non c’è più. Coloro che confidano in miti prima o poi diventano orfani. I miti durano un tempo, ma svaniscono, illudendo chi li ha creati. C’è un solo numero 10 che è vivo. C’è solo un “re” che non è mai venuto meno. C’è solo un campione che è stato il migliore di tutti e lo sarà per sempre. E non è Pelè.