Per non dimenticare Cutro
76 morti, di cui trenta bambini, affogati nel mare di Cutro. Le immagini dei pezzi di legno marci, verniciati di azzurro, ridotti in mille pezzi sulla spiaggia sono negli occhi di tutti noi. Le vite di 86 persone sono state spezzate dal mare grosso nel quale sono annegate, dopo che il barcone sul quale erano ammassati più di 200 migranti, si è scontrato contro uno scoglio a pochi metri dalla costa calabrese. Tutti i sopravvissuti hanno perso parenti o amici.
Improvvisamente Cutro è diventato il nome della tragedia. Tristemente, non è la prima volta che accade. Secondo i dati, negli ultimi dieci anni sono 26.000 i migranti che hanno perso la vita nel Mediterraneo di cui 200 solo nei primi tre mesi di questo anno. Il problema dei flussi migratori, della gestione dei paesi d’accoglienza, delle disumanità e illegalità degli scafisti che gestiscono le partenze, si sono ancora ripresentati in tutta la loro drammaticità. Dopo Cutro ci sono stati altri sbarchi e altri morti. Cutro non è stato il culmine della tragedia, ma un orribile anello di una terribile catena.
Anche questa volta l’Italia sembra spaccata dalle polemiche. Evidentemente ci sono stati problemi e ritardi nei soccorsi. Il mare agitato, le condizioni meteo e una serie di incomprensioni tra la Guardia costiera, di Finanza e Frontex (l'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera) hanno costituito il contesto in cui la tragedia è avvenuta. Questo terribile naufragio si è quindi trasformato in materia di scontro politico iper-ideologizzato, come del resto avviene ormai da anni in Italia ed in Europa.
I flussi migratori caratterizzano la nostra epoca. Gli scenari di guerra, di povertà e di ingiustizia dei regimi totalitari accelerano gli spostamenti di massa. Aumentano i migranti, ma aumentano anche le rotte. Come mostra il caso di Cutro, non solo la rotta cosiddetta centrale dove migranti provenienti dai paesi subsahariani arrivano sulle coste siciliane (per lo più) si affolla, ma anche quella orientale dove a partire sono per lo più iraniani, afgani e pachistani. Di fronte alla complessità della questione, nessuno può pontificare sul tema sapendo che nessuno ha la soluzione in tasca.
Il supplemento N. 7 “Stranieri con noi“ alla rivista Studi di teologia nel 2009 ha trattato il tema da una prospettiva biblica invitando a considerare pratiche di accoglienza basate su una definizione di confini responsabili e di un “patto” di cittadinanza, all’insegna della dignità di tutti gli esseri umani.
Facendo riferimento a questa cornice culturale, quali considerazioni si possono fare sulla tragedia di Cutro per non dimenticare i morti e non passare oltre con superficialità? Eccone una tra le altre.
Temi come questi non sono affrontabili da stati nazionali ognuno per conto suo. La barca affondata a Cutro è partita dalla Turchia, ha rasentato la Grecia per arrivare in Italia. Tutti i viaggi della speranza e della morte coinvolgono tutti i Paesi europei su cui approdano i migranti o in cui arrivano come destinazione finale. Si invoca “l’Europa” quando se ne ha bisogno, ma è evidente che occorre fare una riflessione sull’Europa non in modo intermittente ed episodico. Il tema dell’immigrazione impone di riprendere in mano il tema della condivisione europea della gestione della politica estera e, quindi, della gestione dei flussi migratori. Se l’Italia (o Malta o la Spagna o chi per loro) devono trattare con i Paesi di provenienza, organizzare i flussi, gestire le politiche d’integrazione, ecc. ognuno per conto proprio, è chiaro che il problema viene esasperato senza possibilità di soluzioni praticabili. Se l’Europa come federazione di Stati decide di fare tutto ciò non più come singole nazioni, ma come confederazione che adotta una politica estera comune, si creano condizioni migliori per gestirlo senza subirlo sempre come emergenza.
Per non dimenticare Cutro, va rifatta la domanda: che Europa vogliamo? Un’accozzaglia burocratica di poteri forti senza legittimazione da parte dei cittadini? Un mercato solo interessato agli interessi finanziari? Un continente fatto di staterelli in costante conflitto? O una confederazione di stati che, mantenendo la loro sovranità su alcune questioni, decidono di fare insieme alcune cose come, tra l’altro, la politica estera e la gestione delle migrazioni?