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Post-cristiano? Dipende dalla geografia

“Viviamo in un’epoca post-cristiana”. Questo è il ritornello che spesso si sente quando si discute delle condizioni attuali della chiesa cristiana occidentale. La cultura post-cristiana, la società post- cristiana, l’etica post-cristiana, i valori post-cristiani, ecc. sono tutti temi che più o meno sono oggetto delle preoccupate discussioni dei circoli cristiani che provano ad analizzare lo scenario contemporaneo. A parte la sfida intellettuale che tale argomento evoca, riferirsi al “post-cristiano” porta un elemento ansiogeno alla conversazione. 

Per aiutarci a navigare attraverso il post-cristiano il libro di G.E. Veith Jr., Post-Christian. A Guide to Contemporary Thought and Culture (2020) è una miniera di informazioni e di brillanti intuizioni. Secondo Veith, il post-cristiano non è un’evoluzione del post-moderno, ma la combinazione tra modernità e post-modernità con uno spiccato atteggiamento anticristiano. Nelle sue parole, “la modernità con il suo materialismo scientifico e la fiducia nel progresso evoluzionistico è post-cristiana. Lo è anche la post-modernità” con la sua mentalità relativista. Il post-cristiano è un aggregato di tutte le forme di visioni del mondo alternative a quella cristiana. In quella post-cristiana si può trovare la coesistenza dei tratti moderni e delle tendenze post-moderne. Il volume, diviso in quattro parti, tratta di come il post-cristiano si manifesta nella decostruzione della realtà, rinnegando il corpo, destrutturando la società e marginalizzando la religione. Ogni sezione termina con un capitolo sulle opportunità per la comunità cristiana per essere “sale e luce” nella nostra epoca.  

Dal momento che ho letto il libro dall’Italia, la sua recezione è stata influenzata dal mio contesto. Per quanto riguarda il post-cristiano, l’occidente è disomogeneo. Non esiste una singola condizione post-cristiana ma esistono diverse versioni e combinazioni di essa. In alcuni paesi del Nord Europa, il processo di post-cristianizzazione prende la forma di un’aggressiva secolarizzazione della società. La discussione pubblica che ha dato per scontato i valori cristiani sta subendo una drastica revisione proveniente da contesti morali concorrenti e talvolta antagonistici. In queste regioni, i cristiani hanno bisogno di imparare (o re-imparare) ad essere minoranze creative e fedeli dove prima facevano parte della maggioranza culturale. 

Nel contesto dell'Europa meridionale, la maggior parte dei cambiamenti determinati dal post-cristiano sono da accogliere favorevolmente perché la forma di cristianesimo istituzionale che ha prevalso (il cattolicesimo romano) è stato una camicia di forza per le minoranze religiose di qualsiasi tipo e un ostacolo al fiorire di una società plurale. In questo contesto, il cattolicesimo romano è stato considerato sinonimo alla cittadinanza, ponendo tutti i non cattolici nella posizione scomoda di essere trattati come stranieri dal punto di vista culturale e cittadini di secondo livello nella loro patria. Il pluralismo religioso e i passi avanti verso una società “aperta” sono figli della secolarizzazione, piuttosto che essere l’eredità della maggioranza cristiana cattolica romana. Questo può sembrare paradossale, ma c’è un elemento di verità nel sostenere che gli sviluppi post-cristiani possono essere più cristiani di quanto la cristianità abbia effettivamente implementato in determinati contesti. 

Ciò che normalmente si presume appartenga a un'eredità cristiana è stato in realtà una versione para-cristiana di essa, cioè qualcosa di apparentemente vicino ma fondamentalmente distante da essa. In molti casi, si è trattato di una concretizzazione deformata del cristianesimo, basata sulla lunga traiettoria costantiniana segnata dall'eresia di confondere e fondere lo stato e la chiesa, la religione e la politica, il diritto canonico e il diritto comune, l'identità cristiana e l'identità nazionale. Andare oltre questa cosiddetta “cristianità” è un contributo positivo alla definizione di cosa sia il cristianesimo. Forse, in Italia il cristianesimo è più un'ambizione escatologica che una realizzazione storica, più un progetto del non ancora che qualcosa di già realizzato. La cristianità ha posto l'accento sul lato del già del cristianesimo, mentre l'età post-cristiana in cui viviamo ci ricorda in modo provvidenziale l'elemento del non ancora della nostra risposta all’evangelo. 

Questa fase post-cristiana è l'ennesima occasione per praticare la chiamata per la chiesa ad essere semper reformanda, lontano da compromessi idolatrici e verso una fedeltà biblica sempre crescente. Non è la "cristianità” che ci salverà, né è il post-cristiano che minerà l’evangelo. Pur essendo grati per l'eredità cristiana e critici nei confronti delle sue carenze, il nostro compito non è meramente conservativo ma costruttivo.


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