Raggiungere l'Occidente (III): attivare dinamiche evangelistiche integrate alla vita
Come raggiungere l’Occidente con l’evangelo? La seconda sfida (vedi la prima) che Tim Keller lancia per l’evangelizzazione di questa parte del mondo, nel suo nuovo libro “How to reach the west again”, riguarda la capacità di proclamare l’evangelo in una cultura dove alle persone manca la conoscenza dei concetti fondamentali della fede. La cultura occidentale, intrisa di cristianità (ma non necessariamente di cristianesimo) fino a qualche tempo fa, aveva grosso modo familiarità con le nozioni di verità, peccato, e di Dio stesso. Sebbene molti non credessero, non trovavano assurdo sentir parlare di tali argomenti in pubblico. Oggigiorno la situazione sta cambiando; le chiese sono quindi chiamate a trovare nuovi modi per annunciare la buona notizia in un contesto dove la cristianità come fenomeno sociale viene sempre più messa in discussione.
Come evangelici italiani non dovremmo considerare questa crisi della “cristianità” necessariamente un problema; anzi, le nostre chiese dovrebbero cogliere le opportunità derivanti da questa nuova fase della storia per elaborare, alla luce della Parola di Dio, una declinazione del messaggio biblico e una proposta di società che si allontana dalle distorsioni del cristianesimo (cattolico) di Stato, così come dagli idoli della modernità e della post-modernità.
Storicamente infatti, per il nostro Paese la cristianità ha corrisposto con il sistema istituzionale del cattolicesimo romano che ha provato a fondere le istanze della chiesa con quelle dello Stato con continue invasioni di campo, che hanno generato non solo confusione, ma anche problemi ad un’effettiva libertà religiosa.
In accordo con Keller possiamo affermare che, anche in Italia concetti come quello della moralità, del peccato, della fede, ecc. non trovano più appiglio né nel discorso pubblico, né nella riflessione individuale. Ad ogni modo, non possiamo dire che queste parole nel nostro Paese siano state riempite con lo stesso significato delle verità bibliche. La cultura dominante ha infatti ridefinito molte parole bibliche con idee, dottrine e concezioni derivanti dalla Tradizione della Chiesa piuttosto che dalla sola Scrittura ed è quindi necessario essere consapevoli che, non solo non basta ritornare ad un assetto in cui la “cristianità” si sovrappone alla cittadinanza ed è parte integrante della vita sociale, ma è anche sconsigliabile.
Anche Keller infatti parla di una dinamica del tutto nuova per attrarre le persone alla fede; una nuova capacità di proclamare l’evangelo che non dia per scontato che chi ascolta sappia di cosa si parli o che non ne sia profondamente offeso ed infastidito. Le chiese dovrebbero fare in modo da attirare l’attenzione sul messaggio dell’evangelo nonostante i più lo trovino del tutto irrilevante per la propria vita personale e dovrebbero trovare il modo per mostrare ai non credenti che il loro bisogno indelebile di giustizia, libertà, realizzazione, senso del bello è in realtà una eco del profondo bisogno di Dio che ognuno ha. Le chiese dovrebbero essere pronte e preparate per un’apologetica seria ed efficace e dovrebbero riuscire a spiegare l’evangelo alla luce dei bisogni dell’uomo contemporaneo.
La cultura contemporanea pone molta importanza sulle esperienze personali e sulle storie di vita vissuta. L’emotività ha sostituito il bisogno di un sistema di riferimento rigido basato su valori assoluti. Questo cambio di paradigma dovrebbe stimolare un numero sempre maggiori di credenti a adottare intenzionalmente un sistema di vita “missionale” nella loro vita quotidiana. Il modo in cui i credenti testimoniano il loro modo di vivere anche in circostanze non contemplate dalla narrativa della cultura post-moderna (come il fallimento, il lutto, la sofferenza), può diventare il primo approccio per una testimonianza significativa e convincente. Questa “strategia” presuppone che le chiese si impegnino a formare discepoli consapevoli, consacrati e preparati abbastanza da poter essere “pronti a render conto della speranza che è in voi a tutti quelli che chiedono spiegazioni” (1 Pietro 3,15)
Vite del genere non solo sono pronte a rispondere alle domande di chi non crede, ma interrogano le presunte risposte dei fragili sistemi di valori idolatrici. Il cristianesimo biblico è infatti in grado di fornire elementi per vivere una vita con un vero significato che non viene spazzato via al primo problema e con un senso di realizzazione che non dipende dalle circostanze e dalle prestazioni personali. La formazione teologica di tutti i credenti è quindi fondamentale. Si è chiamati ad un vero sacerdozio universale dove, con carità ed umiltà, chiunque sia nato di nuovo possa rispondere alle obiezioni con conversazioni apologetiche ed al contempo evangelistiche supportate da una vita vissuta in accordo con tali principi. Questo però non comporta un allontanamento dal “mondo”, anzi, presuppone che i credenti siano capaci di costruire relazioni profonde con tutti e che da questi rapporti sinceri possano nascere tali conversazioni e spunti di testimonianza.
(continua)