Sant Ambroes, vescovo di Milano, interprete del cristianesimo tardo-antico
La città di Milano è indissolubilmente legata alla figura di Aurelio Ambrogio, vescovo della capitale dell’Impero d’Occidente dal 374 fino all’anno della sua morte, avvenuta nel 397. Egli ebbe un ruolo così determinante nella storia del cristianesimo dell’antichità da essere stato notoriamente proclamato sia patrono della città meneghina sia uno dei primi dottori della chiesa d’Occidente, insieme ad Agostino, Girolamo e Gregorio Magno.
Nato in Augusta Treverorum, in Gallia (oggi Treviri, in Germania), intorno al 339-340 da un’altolocata famiglia romana, fu destinato a seguire le orme politiche del padre diventando nel 370 governatore dell’Italia Annonaria, con sede a Milano. Le sue abilità amministrative gli permisero fin da subito di gestire con successo le aspre diatribe religiose causate dall’arianesimo, dottrina che negava la deità di Gesù e affermava che egli era una creatura divina inferiore a Dio. La sempre più crescente notorietà del funzionario gallicano culminò quando il popolo lo elesse unanimemente vescovo della capitale succedendo all’ariano Aussenzio, morto nel 374.
Le capacità politiche e retoriche, accompagnate da approfonditi studi biblici e teologici, gli permisero di diventare un pastore poliedrico in grado di impegnarsi su vari fronti. Egli ebbe innanzitutto a cuore la giustizia sociale denunciando l’accentuato classismo delle agiate famiglie romane e cercando di andare incontro al bisogno delle genti meno abbienti. La sua cura pastorale non si limitava a soddisfare necessità materiali, ma intendeva dissetare l’anima del popolo con sermoni profondi e, a detta degli astanti, «dolci come il miele» (per questa ragione egli viene iconograficamente raffigurato con un alveare in mano). L’abilità oratoria, esercitata pubblicamente, fu in parte il risultato di un intenso e privato studio esegetico: egli prediligeva l’interpretazione allegorica e si impegnò a trovare soprattutto nell’Antico Testamento riferimenti alla figura di Gesù Cristo dimostrando che entrambi i Testamenti dovevano essere posti sullo stesso piano: «Bevi dunque tutt’e due i calici, dall’Antico e del Nuovo Testamento, perché in entrambi bevi Cristo» (Commento al Salmo I, 33). Le qualità omiletiche di Ambrogio furono anche un fattore che contribuì all’avvicinamento alla fede cristiana di Agostino e che lo portò poi alla conversione a Cristo.
Se da un lato Ambrogio dimostrò di possedere un carattere compassionevole e accogliente, dall’altro, egli ebbe modo di esercitare la sua fermezza e intransigenza nei confronti degli imperatori romani. Uno degli episodi più dimostrativi dell’irremovibilità del vescovo si verificò tra il 385 e il 386 nei confronti di Valentiniano II e sua madre Giustina, entrambi filoariani. Giustina gli chiese di cedere una chiesa milanese alla fazione ariana, ma Ambrogio rifiutò categoricamente, al che l’imperatore stesso decise di inviare forze militari per occupare la basilica portiana (l’odierna chiesa di San Vittore al Corpo); la chiesa venne accerchiata e contrariamente alle aspettative, il vescovo e i fedeli non si arresero, ma occuparono l’edificio e per non soccombere alla stanchezza fisica iniziarono ad intonare inni, alcuni dei quali composti dallo stesso patrono e oggigiorno facenti parte del repertorio dei Canti Ambrosiani. La vittoria non si fece attendere: l’imperatore e sua madre dovettero a malincuore riconoscere la sconfitta subita e si allontanarono dalla capitale imperiale.
Un’altra rilevante vicenda interessò Teodosio I e la città di Tessalonica. Quest’ultima fu il teatro di un massacro di settecento persone ordinato dal regnante in risposta all’uccisione di un generale romano; Ambrogio si avvalse della sua posizione di rilievo invitando epistolarmente l’imperatore a pentirsi pubblicamente del misfatto commesso e difatti Teodosio si sottomise alla volontà del vescovo riconoscendo sinceramente la propria colpa. Altri importanti avvenimenti andrebbero citati, ma basta conoscere il fulcro del pensiero di Ambrogio per comprendere le modalità di azione che contraddistinsero il suo pastorato: egli credeva fermamente che il potere temporale dovesse essere sottomesso al potere della chiesa e quindi i vescovi, oltre alla cura delle proprie comunità, erano incaricati a vigilare sull’operato dei loro imperatori e riprenderli qualora avessero deviato dall’ortodossia e dalla condotta cristiana. Ambrogio incarna la transizione propria del cristianesimo di fine IV secolo che, se da un lato, mantiene forti agganci all’insegnamento biblico, dall’altro scivola verso forme di “regime di cristianità” dove la chiesa intrude negli affari dello Stato.
Ambrogio esalò l’ultimo respiro all’età di circa 57 anni e venne sepolto, dietro sua richiesta, nella basilica che oggi prende il suo nome, accanto ai corpi da lui stesso rinvenuti nel 386 dei fratelli martiri Gervasio e Protasio. Poco dopo la sepoltura, in una delle cappelle della basilica, venne ultimato un dettagliato mosaico, raffigurante, secondo gli studiosi, il ritratto più antico di Sant Ambroes.
(Una versione di questo articolo è stata pubblicata su Che vi do!, XXX, n. 98 (Luglio 2021) pp. 8-9, periodico quadrimestrale di Pane Quotidiano Onlus)