Se chiude una casa editrice religiosa … ci sarà un effetto domino?
È notizia di oggi che il Centro Editoriale Dehoniano di Bologna chiude. Dopo sessanta anni di intensa attività editoriale, risultata in un ampissimo catalogo di libri teologici e religiosi (tra l’altro le Dichiarazioni evangeliche I e II), la direzione e l’amministrazione di decine di riviste del settore (tra cui Il Regno), e una rete di distribuzione di librerie in alcune città italiane, le Dehoniane chiudono. Tra le motivazioni di questo provvedimento c’è la crisi esacerbata dalla pandemia che ha contratto ancor più il mercato del libro religioso, la cui salute non versava in condizioni favorevoli. Oltre alla sorte dei venticinque impiegati, la notizia ha un qualcosa di sensazionale e sorprendente per il futuro della cultura religiosa in Italia.
Come è possibile che, proprio nell’Italia dalla lunga storia cattolica e dalla ramificazione cattolica capillare, una casa editrice di questa stazza non abbia trovato sostegni adeguati e progetti di rilancio? Come è possibile che un grande serbatoio della cultura religiosa venga chiuso senza che sia stato possibile rianimarlo? Dato che le Dehoniane rilasciavano svariate decine di titoli ogni anno (dagli studi esegetici alla dogmatica, dalla pastorale alle catechetica, dalla storia della chiesa alla bioetica, in collane avviate e in serie promettenti), che ne sarà della cultura religiosa in Italia? Leggeremo sempre meno, scriveremo sempre meno, ci documenteremo sempre meno, studieremo sempre meno, cederemo sempre più al populismo della rete che spesso fomenta un mix di ignoranza e di saccenza? Quale sarà il futuro della formazione teologica e religiosa, se un pezzo importante del processo educativo viene meno? La chiusura delle Dehoniane è una crisi circoscritta a quel marchio o è una spia che indica una crisi di tutto il comparto?
Quando una casa editrice muore, si crea un vuoto e si determina un lutto. Un vuoto culturale e un lutto simbolico. Tra l’altro, le Dehoniane nacquero nel 1960 in un clima in fermento per l’annuncio del Concilio Vaticano II. Nella sua storia la Casa editrice si è messa al servizio del “rinnovamento” promosso dal Vaticano II. Ora che chiude, ciò significa anche che la spinta propulsiva del Concilio si è esaurita? Vuol dire che anche il mondo cattolico che ha tratto ispirazione dal cambiamento conciliare è in crisi? La chiusura delle Dehoniane è una spia di una crisi di quel mondo cattolico progressista? È un segnale che anche l’effetto Francesco è effimero?
Un’ultima riflessione. Se l’Italia cattolica fa morire le Dehoniane e non è in grado di mantenere un’importante iniziativa editoriale, che dire dell’Italia evangelica? Anche l’editoria evangelica italiana ha le sue criticità: una minoranza religiosa può permettersi decine di case editrici che, nella maggior parte dei casi, sfornano pochi titoli all’anno? Le chiese evangeliche promuovono la lettura di libri e la circolazione degli stessi? I percorsi formativi si avvalgono di risorse pubblicate o preferiscono la proliferazione di materiali invisibili (e forse inutili?). Cosa può essere fatto per promuovere il libro evangelico? Sono tutte domande aperte a cui non ci si può sottrarre.
Ad esempio, il 2021, c’è stato il centenario di due giganti evangelici i cui libri sono pubblicati anche in italiano: B.B. Warfield e John Stott. Quale migliore occasione per promuovere anche il libro evangelico. Domande: quante presentazioni sono state tenute nelle chiese? Quanti incontri dedicati sono stati promossi in convegni e assemblee? Quanti dialoghi sono stati attivati per diffondere il libro evangelico? Cosa è stato fatto per diffondere i libri di Warfield e Stott? Temo che la risposta sia scarsa e scadente.
Vista la crisi che ha colpito pezzi apparentemente grossi ma evidentemente fragili come le Dehoniane, dobbiamo aspettarci anche delle chiusure in casa evangelica? Ci sono segnali di crisi che vanno presi in carico? Si può continuare a far finta di niente e ad assistere a processi eutanasici dell’editoria evangelica senza battere un colpo? Esiste un tavolo in cui affrontare la questione che coinvolga i principali soggetti coinvolti (le case editrici, gli istituti di formazione, i centri culturali, le chiese, forse l’Alleanza Evangelica)? Per evitare l’effetto domino bisogna prevenire, più che lamentarsi a giochi fatti.