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Se non si può cantare, la teologia è sbagliata

Non è una mia frase, ma del teologo evangelico inglese Jim Packer: “Le teologie che non possono essere cantate sono wrong … sbagliate”! Dunque, la cantabilità della teologia è un aspetto essenziale della sua ortodossia. Non basta che la teologia sia fedele al testo biblico; non basta che sia sviluppata nella comunione della chiesa; non basta che sia rilevante alle sfide della testimonianza cristiana: per essere tale, la teologia deve essere cantabile. Se non lo è, è ancora troppo intellettualistica o astratta o sottosviluppata per essere all’altezza della sua chiamata. 

Si pensi a Paolo che scrive la lettera ai Filippesi o ai Colossesi e incorpora in entrambe un inno a Gesù Cristo nel bel mezzo dei suoi scritti, come se stesse invitando le chiese destinatarie a cantarlo mentre leggono le sue epistole. Si pensi a quado scrive ai Romani e alla conclusione di una vertiginosa proclamazione del mistero rivelato della volontà di Dio erompe in un canto. Si pensi all’Apocalisse che è pieno di canti da parte dei santi. Si pensi ai Salmi che sono l’innario del popolo di Dio dell’Antico Testamento che accompagna la vita liturgica, personale e comunitaria. Si pensi ai canti di vittoria di Miriam e di Mosè dopo l’esodo. Si pensi all’inno che Gesù ha cantato prima della sua passione. Si pensi ancora a Paolo che, insieme a Sila, cantava mentre era in carcere a Filippi ed evangelizzava i prigionieri e i carcerieri. Se la Bibbia è un libro di teologia, allora è un libro di teologia cantata e cantabile.

Se la teologia non porta alla dossologia (lode e adorazione) è un’ideologia pagana travestita di linguaggio religioso. Naturalmente il canto cristiano deve essere plasmato dalla teologia. Bella è stata l’intuizione di un teologo evangelico contemporaneo come Wayne Grudem di scrivere la sua Teologia sistematica concludendo ogni capitolo con un canto della tradizione innologica evangelica. L’ascolto della Parola di Dio, accolto con la fede che cerca di comprendere, sfocia nel canto ed è nutrito dal canto.

Ecco perché quando esce un nuovo innario evangelico (come l’imminente pubblicazione di Stupenda grazia), è la teologia che fa festa. La teologia che si apprende sui libri, che si affina nel discepolato e che si vive nella vita, si esprime nel canto. Se non lo fa, è una teologia incompiuta e, alla fine, sterile. L’innario è un compendio di teologia. Aiuta la chiesa a cantare nelle diverse circostanze della vita cristiana: la lode, l’intercessione, il lamento, la festa, gli ordinamenti, ecc. L’innario aiuta a fissare una teologia e a trasmetterla nel tempo favorendone la cantabilità. L’innario è il manuale della teologia cantata.

Le chiese evangeliche hanno da sempre capito l’importanza della teologia cantata e hanno promosso l’uso dell’innario nella vita cristiana delle persone, delle famiglie e delle chiese. Quando esce un nuovo innario, la teologia fa festa perché trova un altro strumento per essere cantata, alla gloria di Dio.

(continua) 

Questa serie precede e accompagna l’uscita dell’innario Stupenda grazia, Caltanissetta, Alfa & Omega 2022, adottato anche dalle Chiese evangeliche riformate battiste in Italia.


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