Se questo è il magistero di Francesco …

 
 

Tra le tante rotture operate da Francesco, il magistero è forse il livello che è stato maggiormente impattato dal papa argentino. Il suo insegnamento (contenuto in encicliche, esortazioni apostoliche, bolle, discorsi, ecc.) si è caratterizzato come “incerto”, “in movimento”, “ambiguo”, “sfumato”. Molti cattolici (e anche osservatori non cattolici), abituati ad associare il magistero papale a una forma di insegnamento dottrinario, coerente e stabile, sono letteralmente spiazzati da un papa che sembra dire, non dire e contraddire tutto e il contrario di tutto. Da gesuita qual è, papa Francesco tende ad usare uno stile equivoco, un argomentare dubitativo ed incompleto, una logica “aperta”, un timbro colloquiale, un tratto pastorale. Ufficialmente si colloca nel solco tradizionale della chiesa, di fatto sta accentuando la dinamica espansiva ed inclusiva del cattolicesimo. 

Per provare a sbrogliare la matassa del magistero di Francesco, il libro di Massimo Naro, Protagonista è l’abbraccio. Temi teologici nel magistero di Francesco, Venezia, Marcianum Press 2021, è un’utile cassetta degli attrezzi. Naro è un fine teologo cattolico con interessi eclettici e dotato di vivacità intellettuale non indifferente. Secondo lui, quella di Francesco viene avvertita come “una proposta innovativa rispetto alla teologia che pure nel post-concilio … si era radicalmente ripensata” (25).

Anzi tutto, il vocabolario. Se si vuole provare ad entrare nell’universo magisteriale di Francesco, ecco le parole centrali: “chiesa madre e pastora”, “popolo fedele di Dio”, “spiritualità popolare”, “misericordia”, “sinodalità”, “ecclesiologia poliedrica”, “processi da avviare”, “periferie esistenziali”, “umanesimo solidale”, “conversione ecologica”, “dialogo”, “fraternità e fratellanza” (19). Non tutti sono neo-logismi, alcuni sono lemmi già usati, ma risignificati da Francesco.

Le cornici teologiche che danno senso alle parole del papa sono la “teologia del popolo” e la “teologia della misericordia”. La teologia per lui prende le mosse non dalla rivelazione o dalle astrattezze del magistero, ma dalla storia comune e quotidiane degli uomini che vanno recepite ed affermate nel loro contesto particolare. Questa attenzione al “di dentro” del mondo lo spinge ad elevare le forme di spiritualità popolare ad autentiche esperienze religiose da valorizzare e a non scandalizzarsi di fronte alle situazioni “irregolari” della vita. 

Il popolo, per Francesco, non è il ricevente passivo ed ubbidiente del magistero ecclesiastico, ma soggetto attivo il cui vissuto religioso è vero, dunque parte integrante del magistero. E’ evidente quanto questa versione della teologia del popolo sia lontana dal richiamo evangelico alla Scrittura come Parola di Dio che insegna, riprende, corregge ed educa chi non vuole affermare il proprio vissuto, ma desidera destrutturarlo e riformarlo seguendo la via indicata dalla Bibbia. Pur facendo uso della lettura biblica, la teologia del popolo di Francesco non conosce il criterio esterno della Parola di Dio che mette in discussione i cuori, le pratiche, le abitudini peccaminose, ecc. e forgia una nuova umanità sempre aperta ad essere rinnovata in un processo di santificazione culturale.

La misericordia è l’altra cifra del magistero del papa. Nelle sue parole, “misericordia è la vita che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre, nonostante il limite del nostro peccato” (91). In questa frase densa c’è un punto strategico. Tra le altre cose, come dice il card. Zuppi nell’introduzione, il papa vuol dire che “al centro del messaggio biblico non c’è il peccato, bensì la misericordia” (16). Nelle parole di Naro, la teologia deve essere affrancata dallo “amartiocentrismo” (93), cioè dalla centralità del peccato. Il peccato va sostituito dalla pervasività del principio-misericordia che “può aiutarci a smarcarci dall’amartiocentrismo e a riscoprire la tenerezza di Dio” (114). Nella teologia del papa, al massimo il peccato è “il limite umano” (91), ma non la rottura dell’alleanza, la ribellione a Dio, la disubbidienza ai suoi comandamenti, la contestazione dell'autorità divina, cui segue il giusto giudizio di Dio. Le parole della fede insegnata dal papa sono allora le stesse della fede evangelica, ma decentrate e sfasate rispetto al motivo biblico di creazione-caduta (rottura)-redenzione. Tutto è visto nell’ottica di una metafisica della misericordia che ingoia il peccato senza passare dalla propiziazione, espiazione, riconciliazione, … che la croce di Gesù Cristo ha operato per dare salvezza a chi crede. Se tutto è misericordia e il peccato è solo un limite, il messaggio che ne deriva è altro rispetto all’evangelo biblico.  

Il magistero cattolico tradizionale (dal Concilio di Trento al Catechismo del 1992) confligge in punti nevralgici con la fede evangelica; quello “popolare” e “misericordioso” di Francesco è un’altra variante “cattolica” della deviazione su cui la chiesa di Roma si è costituita e su cui continua a procedere.