Sempre meno bambini, la famiglia è finita?

 
 

Come un allarme che squilla a cadenza semestrale e che arriva dai dati Istat, l’Italia si vede nuovamente sollecitata sulla natalità. Stiamo assistendo ad un ulteriore calo demografico: 3,4% in meno delle nascite nel 2023 rispetto al dato più basso della storia nel 2022. Una tendenza simile sta continuando nel 2024. Questa è la fotografia plumbea che emerge dalla ricerca. 

Dall’analisi dei dati risulta anche la diminuzione dei primogeniti, intesa come reticenza delle coppie ad avere il primo figlio:  

L’allungarsi dei tempi di formazione e di uscita dal nucleo familiare di origine da parte dei giovani, le loro difficoltà nel trovare un lavoro stabile, il problematico accesso al mercato abitativo, non ultima la scelta volontaria di rinunciare, o comunque rinviare al futuro il voler diventare genitori, sono tra i fattori che contribuiscono alla contrazione dei primi figli nel Paese (Istat 21/10/24)

Contestualmente diminuisce il tasso di fecondità, e cioè il numero di figli in media per donna. Esso è arrivato all’1,20 (1,24 nel 2022) e riprende la tendenza della posticipazione delle gravidanze. In media il primo figlio arriva a 31,7 anni. Mentre diminuiscono anche le nascite di bambini da genitori stranieri, aumenta, invece, il numero di nascite fuori dal matrimonio. 

L’aggiornamento di questi dati rispecchia delle tendenze che ormai sembrano essersi incancrenite nella società italiana e non lasciano intravedere alcuna speranza di inversione di tendenza. 

Mentre l’Istat rilasciava i suoi dati aggiornati, la sera stessa andava in onda sul canale La7 una puntata del programma “La torre di Babele”, condotto da Corrado Augias, dal titolo: “La famiglia è finita?”

Interlocutori in studio con Augias sono stati il filosofo e psicoanalista Umberto Galimberti, la scrittrice Chiara Gamberale, il regista Giovanni Veronesi, la sociologa Chiara Saraceno e lo psicanalista e saggista Massimo Recalcati. 

La domanda provocatoria sulla fine della famiglia arriva dalla percezione che non solo il problema della denatalità, ma anche quello delle relazioni che intercorrono nelle famiglie esistenti e la pressione sull’allargare il concetto di famiglia fino a sfumarlo, stia portando in qualche modo alla fine dell’universo-famiglia.

Nella discussione sono stati citati i problemi relativi alla condizione giovanile, alla stanchezza a cui sembra che il sistema Paese sia sottoposto, alle condizioni economiche precarie dei lavoratori, alla ridefinizione delle identità in base al sentire soggettivo che caratterizza il pensiero della contemporaneità ed altri macro-temi affini che spesso vengono trattati come cause “della crisi della famiglia”. 

Ad emergere in questi discorsi tra esponenti influenti della cultura “progressista” italiana è l’idea che stia finendo un sistema, quello della “famiglia” che, per loro, è sempre stato un costrutto della cultura e della società. Hanno negato ogni esistenza di un ordine creazione preesistente e di un ordine redentivo quale sfondo.

L’idea di fondo è che se arrivano spinte alla ridefinizione della famiglia (anche alla dissoluzione della stessa), bisogna accoglierle senza alcuna paura perché si tratta semplicemente di un nuovo ordine provvisorio che la società si dà per andare avanti. Settori più estremi ancora della cultura secolarizzata sono apertamente schierati “contro la famiglia”.

I soloni della cultura progressista non dialogano con chi ha letture diverse, ma vogliono inculcare l’idea che esiste solo la “loro” verità. Anche se La7 non è un servizio pubblico da cui aspettarsi un barlume di pluralismo culturale, questi salotti registrano una destabilizzazione dovuta al vacillamento di un’istituzione importante e finiscono per vedere nel progresso e nella demolizione del passato l’unica soluzione possibile. In realtà, non c’è pluralismo di voci qui, ma un’unica voce che si ritiene la sola.

Il progresso verso una nuova idea di famiglia non è mai meglio definito oltre alle generiche categorie di libertà di scelta, di amore libero e affetto, mentre di sicuro viene demonizzato l’uso del “religioso” rispetto al costrutto della famiglia. Si ritiene che “la religione” (ma non si dice quale: cattolica?) abbia imposto un concetto di famiglia tossico ed escludente e che abbia fomentato sistemi patriarcali ingiusti e arretrati.

Nessuna voce diversa è stata ascoltata. Nessun evangelico è stato invitato. Questo è il pensiero unico della cultura secolarizzata e sedicente progressista. Da una prospettiva evangelica, è difficile pensare che questo contesto culturale secolarizzato e al contempo impregnato di concetti cattolici difficilmente riconducibili al messaggio biblico non sia una concausa del progressivo declino demografico. 

Il ripiegamento sull'Io e la relativizzazione dei valori “al di fuori di me” impoveriscono, quando non screditano, ogni possibilità di fioritura di un approccio sano al vissuto della famiglia. 

In tempi di transizione, la cultura evangelica deve saper sviluppare una voce pubblica sulla famiglia. Infatti, se nel mondo occidentale, fino a poco fa si poteva riposare su una piattaforma condivisa di cosa almeno apparentemente una famiglia dovesse essere, oggi sono messe in discussione le più basilari fondamenta.

Non è più detto che si parli di matrimonio come prospettiva di vita, né di un solo uomo in relazione con una sola donna, né che avere figli sia necessariamente un evento positivo. In questa transizione è quindi necessario sviluppare una visione del mondo che sia capace di parlare della famiglia con realismo biblico, non assolutizzandola né pretendendo di abolirla.

Contemporaneamente è necessario restare in allerta per chiederci quanto della cultura nichilista sulla famiglia entri o sia già parte del vissuto di molti evangelici. Non è detto che le idee più radicali sulla famiglia siano condivise nei circoli evangelici, ma quando si rimanda il matrimonio per motivi futili, quando si pensa ai figli come impedimento per il raggiungimento dei propri obbiettivi, quando si crescono figli con il solo valore del successo individuale o anche quando, in maniera moralistica, siamo pronti a giudicare famiglie fragili o problematiche, non stiamo forse già agendo come agenti della cultura secolarizzata?

Riprendendo il documento delle Giornate teologiche 2004 dell’IFED, la famiglia è quanto mai “in discussione”. Riusciamo ad avere una voce nel dibattito? Riusciamo ad essere testimoni credibili di un diverso modo di vivere la famiglia?