Iniziare a leggere la Bibbia, ma con quali criteri?
Se uno prende in mano la Bibbia, da dove inizia? E come inizia? Parte da una tabula rasa o ha già un insieme di pensieri che ne guideranno la lettura? Sono tutte domande legittime che si ripresentano tutte le volte che apriamo la Bibbia, soprattutto le prime volte.
Sono queste le domande da cui parte il volumetto di Ernesto Borghi e Stefania De Vito, Iniziare a leggere la Bibbia, originariamente pubblicato nel 2014 e giunto alla terza edizione. L’intenzione degli autori, entrambi biblisti cattolici, è di incoraggiare ad avvicinarsi alla Bibbia come “una grande avventura per tutti”. In un certo senso l’obbiettivo appare raggiunto. In solo in sole 88 pagine vengono elencati, se pure in maniera sintetica, una serie di argomenti da tenere presenti per chi decide di prendere la Bibbia tra le mani e leggerla.
Si tratta di 30 brevi capitoli, oltre ad una introduzione e conclusione. Le note piè di pagina consentono di avere un immediato riscontro su quanto scritto. Effettivamente si tratta di un abbecedario per iniziare ad orientarsi nell’avventura.
Gli autori evidenziano un approccio culturale alla Sacra Scrittura, ne indicano l’importanza e “la necessità imprescindibile per cercare la felicità personale e collettiva” (p. 5). Affermano altresì che, nonostante l’enfasi posta dal Concilio Vaticano II sulla lettura della Bibbia, vi sia ancora in ambito cattolico una ignoranza diffusa circa il Testo Sacro. Esso “non è al centro della vita quotidiana della Chiesa cattolica e nelle sue scelte pastorali ordinarie” (p. 6).
Al di là di queste oneste osservazioni iniziali, a p. 18 è indicato un punto centrale del libro. Perché leggere la Bibbia? A cosa serve la lettura della Scrittura? Per gli autori, bisogna “leggere la Bibbia per cercare delle risposte alle domande fondamentali di ogni epoca (Da dove vengo? Dove vado? Perché sono nel mondo? e/o per essere più capaci di ricevere e dare amore nella propria vita: ecco due buone ragioni per entrare in rapporto con i testi biblici”.
In altre parole, per Borghi e De Vito, la Bibbia deve essere letta per motivi esistenziali, per cercare di capire il senso della vita, per avere un orientamento tra le domande di fondo che accompagnano il percorso di ognuno. Vero. La Bibbia serve anche a questo, ma è sufficiente dire questo? La Bibbia è solo un libro di storie per fornire risposte esistenziali o è qualcosa di più e di diverso?
La Bibbia dà risposte se riconosciuta come Parola di Dio scritta. In altri termini, la funzione della Bibbia è legata al suo statuto e al suo messaggio. Se non si riconosce lo statuto ispirato della Scrittura e il messaggio incentrato sulla persona e l’opera di Gesù Cristo, la Bibbia difficilmente potrà dare risposte agli interrogativi dell’esistenza.
E qui il libro di Borghi e De Vito presenta alcune criticità, ad esempio sul tema dell’inerranza della Bibbia. L’inerranza equivale a riconoscere l’assenza di errori nella Bibbia e la piena veridicità del suo messaggio. Si tratta di una proprietà attaccata negli ultimi secoli per minarne l’ispirazione e svalutarne l’autorità. Gli autori affermano che, in ambito cattolico, fu papa Leone XIII nel 1893 ad affermare l’inerranza delle Scritture.
Era il tempo in cui l’“alta critica” insinuava dubbi sull’attendibilità della Bibbia. In ambito evangelico, negli stessi anni teologi come B.B. Warfield hanno difeso la dottrina dell’inerranza. Gli autori ricordano giustamente che il Concilio Vaticano II limitò l’inerranza alle cose che la Bibbia insegna per la salvezza (“Dei Verbum”, n. 11).
A ben guardare, il Vaticano II restringe il campo dell’inerranza, riconoscendola solo per ciò che riguarda la nostra salvezza. Si tratta di un riduzionismo inaccettabile perché nega l’inerranza di tutto ciò che Dio ha ispirato nella Scrittura. Così facendo, il cattolicesimo romano si è aperto anch’esso alla critica biblica e all’ingigantimento del ruolo della tradizione. Se la Bibbia non è tutta inerrante, allora ci saranno altre autorità accanto o sopra di essa.
La fede evangelica biblica e storica insiste su questo elemento dello statuto inerrante della Scrittura perché è in gioco la fedeltà all’unico e solo Dio sovrano. Testimonianza di questo impegno evangelico rispetto all’inerranza della Bibbia sono le tre dichiarazioni di Chicago sull’inerranza (1978), sull’interpretazione (1982) e sull’applicazione biblica (1986).
Esse contrastano con il liberalismo teologico degli ultimi due secoli e i suoi sviluppi più recenti. Affermano che la Bibbia, nella sua interezza, essendo stata totalmente e verbalmente ispirata da Dio, è esente da errori in tutto il suo insegnamento.
Non appare un’esagerazione affermare che la Scrittura è un miracolo di Dio che, nella sua libertà sovrana, si è servito di persone che, se pur liberamente, hanno messo per iscritto quel che Lui voleva che essi scrivessero, vigilando sugli autori per mezzo dell’azione dello Spirito Santo e che nella Sua provvidenza ha fatto in modo che essa pervenisse anche a noi. Dunque, l’inerranza è un presupposto fondante dello statuto della Scrittura e della fede cristiana.
Per leggere la Bibbia in modo spiritualmente profittevole, è importante avvicinarsi ad essa con i giusti presupposti, tra cui quello di riconoscerla come Parola di Dio. Solo se è la Scrittura è Parola di Dio, vera e senza errori, il messaggio relativo a Gesù Cristo potrà dare le risposte ai quesiti esistenziali.