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Seoul chiama Italia (II). Il lavoro come missione

Quando lavoriamo siamo in missione o la missione è qualcosa in cui siamo coinvolti fuori dagli orari di lavoro? Per molto tempo, il detto e il non detto della missiologia evangelica ha sostenuto in modo esplicito o implicito che la missione è un impegno fuori dal lavoro, dopo il lavoro, quando siamo liberi da impegni di lavoro per dedicarci a “tempo pieno” alla missione. Non è più così. Il Movimento di Losanna ha aiutato negli ultimi decenni a rivedere questa distorsione e a riscoprire la visione biblica del lavoro come campo di missione.

Infatti, il quinto giorno del Congresso Losanna 4 tenutosi a Seoul (22-29 settembre) è stato dedicato alla missione nel posto di lavoro. Il direttore del Pontes Institute for Science, Culture and Faith di Colonia, Julia Garschagen, è partita dal libro degli Atti e ha fatto riflettere sulla testimonianza cristiana nei luoghi di lavoro. 

Paolo stesso combinava il suo lavoro secolare con la missione evangelica. Faceva l’uno e l’altro. Lavorava come fabbricante di tende e annunciava il Vangelo ovunque andasse. Il lavoro, quindi, non è mai semplicemente un mezzo di sostentamento, ma è parte della nostra chiamata come testimoni di Cristo.

Il luogo di lavoro è anche il possibile luogo deputato all’annuncio del Vangelo. Come sottolineato da Michael Oh nel corso della cerimonia di apertura del congresso, alle volte per i cristiani non è sufficiente, per l’adempimento del Grande Mandato, essere fedeli nello svolgimento delle proprie mansioni sul posto di lavoro ma è necessario essere “vocali”. L’annuncio della buona notizia è indispensabile per vedere uomini e donne salvate, che invocano il nome del Signore. Ed infatti, “Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? E come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare?”.

Sì, il lavoro è uno spazio dove esercitare la missione “sacerdotale” (preghiera, buona testimonianza) e dove praticare quella profetica (annuncio e condivisione dell’evangelo, nelle forme possibili). La sollecitazione proveniente dal congresso è salutare, ma ancora incompleta. La missione ci chiama anche alla vocazione regale nel lavoro. 

Cosa vuol dire “regale”? Il lavoro è parte essenziale della vita umana, fin dalle origini della creazione. Dio ha affidato all’uomo e alla donna il compito di lavorare e custodire il giardino, un mandato che rifletteva la bontà della creazione stessa. Il lavoro, nella sua forma originaria, era "molto buono", un atto attraverso cui l’uomo partecipava all’opera di Dio. Tuttavia, con la caduta, la relazione dell’uomo con il lavoro è cambiata drasticamente: "con il sudore della fronte mangerai il pane". Il peccato ha corrotto ciò che Dio aveva creato come buono, portando affanno, fatica e alienazione.

Nonostante questa rottura, il lavoro non ha perso il suo valore. Attraverso la redenzione in Cristo, il lavoro è riqualificato e diventa nuovamente un’opportunità per riflettere la gloria di Dio. In questo contesto, il lavoro assume tre dimensioni fondamentali: quella sacerdotale, profetica e regale. Come cristiani, siamo chiamati a vivere il nostro lavoro come una missione, contribuendo al bene della città e delle persone che ci circondano, come ci esorta il profeta Geremia: "Cercate il bene della città".

Nel posto di lavoro, che non è solo quello retribuito, vedi per esempio il lavoro svolto dalle mamme o dai papà al servizio della propria famiglia, siamo sacerdoti chiamati ad essere vicini ai nostri colleghi, attenti ai loro bisogni e pronti a intercedere per loro. Questo ruolo implica prendersi cura degli altri, pregare per le loro vite e mostrare compassione. La nostra presenza non è neutra, ma portiamo con noi la presenza di Dio, come il popolo sacerdotale di cui parla la Prima Lettera di Pietro: "Voi siete un sacerdozio santo" (1 Pietro 2,9). Come affermato a Seoul da Julia Garschagen, “le nostre chiamate telefoniche sono i nostri inni”,le nostre email sono i nostri canti di lode”. Anche nel rispondere a semplici email o nel partecipare a riunioni quotidiane, possiamo riflettere la gloria di Dio.

Essere discepoli di Cristo nel contesto lavorativo significa anche esercitare la nostra responsabilità regale. Dio ci ha posti nel mondo per governarlo e custodirlo, per trasformare e migliorare le realtà in cui viviamo. Questo implica vedere il lavoro come un'occasione per contribuire al bene comune, per benedire e influenzare le persone intorno a noi. La nostra vocazione non è limitata al successo personale, ma include la responsabilità di far fiorire le persone e l’ambiente in cui operiamo. Il lavoro è spesso disfunzionale, luogo di conflitti ed ingiustizie, condizioni di sfruttamento e di prevaricazione. La presenza regale dei credenti deve avere un impatto anche su questo seminando la shalom di Dio nei limiti delle possibilità date, ma con intenzionalità cristiana. Il lavoro cristiano non è fuga, né disinteresse del sistema: vuole abitarlo per seminare e favorire il cambiamento. 

Il 99% dei cristiani svolge un lavoro secolare. Tutta la chiesa è, quindi, pienamente chiamata a partecipare al piano di Dio per l’estensione del suo Regno, ovunque Dio l’abbia collocata. Il posto di lavoro è uno dei luoghi principali in cui si manifesta la nostra chiamata ad essere seguaci di Cristo.

Tutta la chiesa è chiamata a riconoscere e sostenere il lavoro sul posto di lavoro e a non operare una separazione tra lavoro sacro e secolare: entrambi hanno lo stesso valore davanti a Dio. Tuttavia, spesso i cristiani tendono ad attribuire più importanza al servizio svolto in chiesa, rispetto a quello secolare. Al contrario, la Parola di Dio in primis, i documenti di Losanna poi, esortano tutti i membri della chiesa a vivere e affermare la vocazione anche sul posto di lavoro, elevandone gli standard di eccellenza e promuovendo l’espansione dell’influenza del Regno di Dio in ogni ambito della società. 

Come prolungare questa sollecitazione in Italia? Ecco una risorsa già disponibile e collaudata: il seminario "Buon lavoro", che si basa sul fascicolo “Buon lavoro”, Studi di teologia – Suppl. 18, 2020. Si tratta di una risorsa utile per riflettere su come vivere il lavoro in modo cristiano. Molte chiese lo hanno già offerto ai loro membri traendone beneficio. Questo seminario offre strumenti pratici per stimolare una conversazione su come integrare fede e lavoro, incoraggiando i cristiani a vedere il loro posto di lavoro come un terreno fertile per la missione: sacerdotale, profetica e regale.

Il lavoro è un'opportunità per glorificare Dio in ogni cosa che facciamo. Il modo in cui lavoriamo, pertanto, è un riflesso della nostra salute spirituale e la nostra fedeltà a Cristo. Attraverso il lavoro, possiamo essere sale e luce, contribuendo al bene delle nostre città e portando la presenza di Dio ovunque andiamo. Questo ha detto Seoul e questo l’Italia evangelica e non solo deve sentire.

Della stessa serie:

Chiara Lamberti, “Seoul chiama Italia (I). La sfida delle nuove generazioni” (7/10/2024)


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