Tutti possono pregare, ma pregare il Dio trino non è per tutti!
C’è chi recita qualcosa prima di andare a dormire o mentre è davanti ad una statua, c’è chi lo fa in quantità e orari giornalieri prestabiliti, c’è chi sussurra qualche parola prima di fare un esame universitario o essere sottoposto ad un’operazione chirurgica delicata, c’è chi preferisce rimanere in silenzio e chi ha bisogno di vocalizzare, c’è chi si rivolge ad una sola entità e chi invece a molte, c’è chi preferisce farlo da solo, chi delega ad altri e chi ha bisogno di ritrovarsi in gruppo. Insomma, va preso atto che la preghiera, cioè il rivolgersi ad un’entità superiore considerata in grado di rispondere e dare benefici spirituali e/o materiali, è un’attività che accomuna molti, se non (inconsapevolmente) tutti gli uomini.
In effetti, c’è del vero in ciò che dice Franco La Celca, professore di antropologia visiva alla Nuova Accademia di Belle Arti di Milano (NABA), nel suo ultimo libro Convincere Dio. Note sul pregare, Torino, Einaudi 2024. La Celca osserva che “pregare è una facoltà umana che nasce probabilmente dall’intuizione di poter comunicare con le presenze viventi che sono intorno a noi o sono passate o sono altrove. La preghiera è un anelito comune, al di là delle differenze teologiche, ideologiche e politiche” (p. 5). Non si può infatti negare che la preghiera sia un elemento cardine di molte religioni del mondo (si veda nell’ambito monoteista ad es. l’ultimo libro di Paolo Branca et al, Vie della meditazione. Ebraismo, cristianesimo, islam, Bari, Laterza 2024) e che addirittura gli atei ed agnostici si ritrovino talvolta a chiedere scaramanticamente richieste di aiuto ad un vago dio ritenuto in grado di agire in loro favore. Essendo però consapevoli che biblicamente la preghiera specificamente rivolta al vero Dio è un dono dello Spirito Santo elargito a coloro che sono stati rigenerati per la fede in Gesù Cristo, cosa dire della preghiera dei non credenti?
Per rispondere a questa domanda ci viene in aiuto il testo monumentale (più di 600 pagine!) che Abraham Kuyper (1837-1920) scrisse su L’opera dello Spirito Santo (1888), e in particolare il capitolo dedicato a “La preghiera dei non convertiti” (XLI). Innanzitutto, Kuyper sarebbe in parte d’accordo con La Celca: la preghiera è sì una facoltà dell’uomo, ma essa non nasce da un’intuizione, bensì da Dio stesso che “l’ha creata in noi, insita nella radice del nostro essere, inseparabile dalla nostra natura” (p. 630). L’uomo non si è alzato un giorno inventando la comunicazione con un dio qualunque; egli è stato creato per comunicare con Dio, il Creatore dei cieli e della terra.
Se però il peccatore convertito ristabilisce la comunione e comunicazione con Dio pregando “Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà anche in terrà come è fatta in cielo” (Mt 6,9-10) prima ancora di chiedere pane, perdono e protezione dal peccato, il peccatore non convertito “non ha nessuna concezione di una preghiera fatta per il nome, il regno e la volontà di Dio”. “Egli prega solo per il pane e per il perdono, ma solo perché il pane, l’agiatezza e la liberazione dai problemi possano non essere a lui negati” (p. 632). Non c’è parte dell’uomo che non sia stata corrotta dal peccato, nemmeno l’apparentemente umile preghiera: “Nel suo peccato ha invertito l’ordine stabilito delle cose: non è lui a esistere per Dio, ma Dio a esistere per lui” (p. 632).
Ma allora come spiegare l’anelito del peccatore non convertito nei confronti del Dio che non conosce? Per spiegarlo, Kuyper utilizza un’illustrazione suggestiva: per via del peccato, il non credente è come un’arpa scordata; le corde sono ancora lì, ma non riescono a produrre il suono per cui erano state progettate. Vale la pena riportare le parole stesse del teologo olandese: “Il peccato non ha tolto le corde, perché allora non poteva produrre nemmeno la discordia; ma il peccato lo ha stonato, e ora i suoi toni sono aspri e stridenti all'orecchio. Eppure, queste stesse corde testimoniano l'opera del Maestro originale, perché grazie alla sua opera originale sono ancora in grado di produrre suono. Finché le corde sono allentate, l'arpa può essere riparata, ma quando sono completamente rotte, non è più un'arpa, ma un pezzo di legno inutile. Ogni preghiera del peccatore è una discordanza che stride con la bella armonia dell'amore eterno di Dio; tuttavia, le stesse discordanze di quella preghiera sono le prove che lo Spirito Santo aveva originariamente posto le corde sul cuore” (p. 634).
Inoltre, Dio è così misericordioso e buono da utilizzare la stessa preghiera mal concepita e indirizzata come tappa formalmente e spiritualmente sensibilizzante in vista di una conversione futura (pensiamo ad es. ai figli dei credenti): “dall'esperienza di molti risulta che, molto prima che l'anima prendesse coscienza della grazia salvifica, la grazia di Dio non solo la preservava da violente esplosioni di peccato, ma, attraverso la tradizione della preghiera, operava in lui un'opera i cui effetti benedetti venivano compresi solo molto tempo dopo” (p. 635).
La grazia comune del Signore è resa evidente anche nella preghiera del peccatore non convertito. Il Signore annichilisce le conseguenze disastrose del peccato nel mondo facendo sì che coloro che pregano per benefici, timore e tradizione frenino la loro spavalderia egoista “sottomettendosi” al Dio della Parola percepito a tastoni, ma che in ultima analisi è conoscibile, amabile e approcciabile solamente per l’opera rigeneratrice dello Spirito Santo.