1870. Mentre l’Italia cercava la libertà, il papa si proclamava infallibile
Il 18 luglio 1870 (150 anni fa), il Concilio Vaticano I recepiva nella Basilica di San Pietro la Pastor Aeternus, la costituzione dogmatica promulgata da Pio IX sull’infallibilità papale. In un clima teso ed incerto, visti i rumori di guerra tra la Prussia e la Francia e le possibili conseguenze sui fragili equilibri politico-militari che sostenevano lo Stato Pontificio, la Chiesa di Roma pensò bene di elevare a rango dogmatico (cioè definitivo, immodificabile e da accettare come dato di fede) la dottrina secondo la quale “il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani … gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede e ai costumi”.
Il nervosismo che si respirava non era infondato. Infatti, dopo la sconfitta di Napoleone III a Sedan (2 settembre), venne meno la protezione francese e l’esercito italiano poté quindi entrare a Roma tramite la “breccia” di Porta Pia (20 settembre 1870) senza che il Papa potesse far leva sullo scudo militare a cui si era appoggiato in passato e con cui aveva represso i moti di libertà che avevano lambito anche Roma.
Il Concilio Vaticano I venne interrotto bruscamente e non concluso in senso canonico. Rimase un concilio “incompiuto”. Un libro recente dello studioso gesuita John O’Malley, Vaticano I. Il Concilio e la genesi della chiesa ultramontana, Milano, Vita e Pensiero 2019 indaga il contesto storico che preparò il Concilio, esamina i suoi lavori e suggerisce qualche riflessione sul senso di quell’assiste alla luce delle tensioni politico-culturali di fine Ottocento. Ho scritto una recensione al libro (in inglese) a cui rimando per ulteriori approfondimenti sul volume di O’Malley.
Quello che importa sottolineare qui è la totale dissociazione all’evangelo che la chiesa di Roma mostrò nel tentativo di salvaguardare le proprie prerogative “imperiali”. Dopo aver reagito alla Riforma del XVI secolo con il Concilio di Trento, dichiarando “anatemi” le istanze della Riforma e consolidando la sua struttura gerarchica e sacramentale, Roma si sentì ancora sotto minaccia dall’ideologia dell’Illuminismo e dai movimenti politici ispirati dalla Rivoluzione francese e reagì elevando a dogma l’infallibilità del suo capo. Invece di cogliere le “provocazioni” in senso evangelico, cioè pentendosi dei peccati e riformandosi secondo la Parola di Dio, la chiesa romana consolidò gli aspetti idiosincratici della sua autocomprensione di sé rendendoli irreformabili e condannandosi a non poterli più cambiare. Teologicamente parlando, l’infallibilità sta dentro una “logica sillogistica” di stampo imperiale: il papa è il capo assoluto, il mondo è malvagio e contro la chiesa di Roma, quindi il papa è infallibile e il resto del mondo è nell’errore. Non c’è traccia di questa elevazione infallibile dell’ufficio di una guida della chiesa nella Scrittura. Per la Bibbia, la Parola di Dio è pura, verace e luminosa perché Dio è puro, verace e luce. I pastori, le guide, ogni credente in Cristo non è mai infallibile. Solo la Parola di Dio lo è.
Come a Trento la chiesa di Roma aveva elevato il suo sistema sacramentale, così al Vaticano I elevò la sua istituzione suprema: il papato. Senza la Bibbia, contro la Bibbia: solo in ragione di un istinto di sopravvivenza istituzionale. La tragica ironia fu che, mentre l’Italia cercava la libertà in tutte le sue accezioni: politica, religiosa, culturale, sociale, la chiesa di Roma fu sorda a questo anelito e pensò solo a sopravvivere a sé stessa. Quella “breccia” che fu aperta tra le mura di Roma fu ed è tuttora una “breccia” di libertà: una richiesta che a Cesare sia riconosciuto ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio; che la chiesa faccia la chiesa e non lo Stato; che la chiesa sia al servizio dell’evangelo e non del proprio istinto imperiale; che lo Stato sia uno spazio laico e plurale dove la libertà religiosa sia riconosciuta a tutti. Dopo 150 anni quella “breccia” mantiene tutta la sua attualità.