60 anni dopo il Concilio, gli evangelici hanno capito cosa è successo?

 
 

Era l’11 ottobre 1962 (sessanta anni fa) quando papa Giovanni XXIII aprì con pomposa solennità il Concilio Vaticano II (1962-1965) che lui stesso aveva convocato tre anni prima. In questi giorni non mancano rievocazioni di quell’evento sotto forma di articoli, trasmissioni TV e programmi. Non più tardi di sette anni fa era caduto il cinquantesimo della conclusione del concilio e la ricorrenza aveva suscitato un certo dibattito sia sull’evento concilio, sia (e soprattutto) sull’eredità del Concilio nella chiesa cattolica contemporanea. Dopo il Vaticano II Roma è cambiata in modo notevole nei suoi atteggiamenti, senza però modificare le sue strutture dogmatiche portanti.

Ora come allora, sembra che gli evangelici a livello mondiale facciano fatica a misurarsi con la portata del Vaticano II. A quanto consta, con eccezioni s’intende, nel 2015 non vi furono libri o saggi o conferenze del mondo evangelico dedicati al tentativo di fare i conti con il cattolicesimo uscito dal Concilio. Come se una tale ricorrenza non chiamasse in causa anche la responsabilità della teologia evangelica di capire il panorama religioso attuale. Poi ci fu l’anniversario della Riforma nel 2017 con decine di iniziative in tutto il mondo per celebrarla. Ma anche in quell’occasione, con eccezioni ovviamente, non fu fatto lo sforzo di capire la nuova cattolicità uscita dal Vaticano II. Si pensi che anche un’importante conferenza come quella della Gospel Coalition negli USA, pur con decine di relazioni e seminari sui più disparati temi, dedicò solo una sessione (peraltro opzionale e in concomitanza con altre decine di opzioni) al cattolicesimo. In Germania poi, nello stesso anno, la stessa organizzazione propose una conferenza con decine di discorsi sulla Riforma, senza che nessuno avesse come tema il cattolicesimo di allora e il cattolicesimo di oggi. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi ed estendersi ai contesti francofoni o inglesi. Il punto è che esiste una sorta di occhio cieco evangelico sul cattolicesimo contemporaneo che ha come risultato la percezione ridotta, la vista annebbiata e la comprensione distorta di Roma.

Anche qui con eccezioni che si contano sulle dita di una mano, negli USA le facoltà di teologia evangelica non hanno (più) corsi sul cattolicesimo. Ciò significa che i pastori di oggi e di domani avranno scarsissima contezza delle dinamiche attuali della chiesa di Roma e nessuna o quasi percezione dell’importanza del Vaticano II. Ciò significa anche che i missionari che vengono preparati per andare a operare all’estero avranno poca o nessuna formazione sui rudimenti del cattolicesimo contemporaneo. A cascata, le chiese sono in genere composte da persone prive della grammatica teologica minima per comprendere le questioni dottrinali sul tappeto. 

Nel frattempo, tuttavia, molti settori dell’evangelismo mondiale si sono buttati nel “dialogo” con Roma senza avere fatto prima i compiti a casa e cioè senza aver provato a capire cosa è accaduto al Concilio e come il volto di Roma sia cambiato e perché in seguito al Concilio. E’ come se gli evangelici si siano sentimentalmente inoltrati ad esplorare una terra (quasi) sconosciuta e (teologicamente) pericolosa senza l’ausilio di mappe e strumentazioni adeguate alla sfida. Il rischio di smarrimento e di perdita di orientamento è tutt’altro che teorico. 

A 60 anni dal suo inizio, i cattolici discutono sul senso del Concilio. Per molti aspetti, gli evangelici devono ancora iniziare a farlo.