A scuola d’ansia. Perché abbiamo perso la gioia d’imparare?
Nel 2019 una Commissione del Ministero dell’Istruzione lavorò ad uno studio sul benessere e malessere nella scuola italiana. I dati che emersero futuro piuttosto negativi portando alla luce un vissuto sempre più diffuso di disturbi dell’attenzione ed emotivi, paura, ansia e depressione, realtà che dopo la pandemia sembra essersi amplificata. È di pochi giorni fa la notizia dell’ennesimo studente (in questo caso una studentessa universitaria) che si è tolto la vita. Un recente studio del CNR ha stimato che solo nel 2022 il 10,8% dei ragazzi compresi tra i 15 e i 19 anni, ha assunto psicofarmaci senza prescrizione medica. Questi dati non sono solo numeri astratti ma sono una realtà che ci sta attorno se la sappiamo guardare. Per le strade di Roma ti può capitare di incontrare un manifesto con la parola ANSIA che campeggia su uno sfondo arancione. È una campagna promossa dalla Rete degli Studenti che occupa anche i muri social e con l’ashtag #chiedimicomesto cerca di portare all’attenzione dell’opinione pubblica il male profondo che la generazione Z sta vivendo.
Osservando questo contesto è difficile pensare che lo studio, la conoscenza e l’esperienza scolastica in genere possano essere associate alle parole piacere, gioia, amore, speranza. Eppure, la Scrittura parla in termini eloquenti a proposito della conoscenza e dell’intelligenza definendo “beato” chi la cerca e l’ottiene “poiché il guadagno che essa procura è preferibile a quello dell’argento, il profitto che se ne trae vale più dell’oro fino. Essa è più pregevole delle perle, quanto hai di più prezioso non l’equivale” (Proverbi 3,14-15).
Il problema, perciò, non è nella conoscenza in sé. Voci autorevoli come quella della psicologa dello sviluppo Daniela Lucangeli, ci dicono che il problema sta nei metodi che la scuola utilizza: “…allo studente viene chiesto di imparare troppo, in poco tempo, senza passione, con l’ansia di doverne rendere conto, la frustrazione di non riuscire, la sensazione di perdere tempo per cose più utili e piacevoli” (Cinque lezioni leggere sull’emozione di apprendere, Erickson, 2019). Ma a ben vedere questi stessi metodi sono il frutto di un malessere educativo, quello degli insegnanti e di coloro che la scuola la fanno e la costruiscono. Perciò, dobbiamo inevitabilmente scavare più a fondo e scoprire che la sorgente del problema è ben più profonda e anche più vasta e pervasiva.
Ancora una volta la Bibbia ci offre la soluzione al nostro dilemma: “Il Signore, infatti, dà la saggezza; dalla sua bocca procedono la scienza e l’intelligenza” (Proverbi 2,6). Non è forse perché Dio, la fonte di ogni scienza, è stato completamente estromesso dall’educazione, dallo studio e dalla scuola che l’esperienza educativa diventa priva di ogni piacere, sempre più deludente, frustrante fino a diventare tossica per i nostri ragazzi? Non si tratta di dare più spazio all’Ora di religione cattolica nelle scuole o di introdurre qualche programma “spirituale”, come una pezza su un pantalone bucato. Né si tratta di aspirare ad un ideale di scuola utopistico. No!
Stiamo parlando del bisogno di ricondurre tutta la vita e la conoscenza sotto la signoria di Dio che in Cristo e per opera dello Spirito Santo può cambiare il modo in cui i nostri ragazzi, e noi con loro, guardiamo la realtà, la indaghiamo, la comprendiamo, la viviamo e la immaginiamo condividendo la conoscenza e i suoi risvolti in una comunità scolastica e accademica che trova gioia e piacere in tutto questo. Certamente ciò vuol dire anche riformare il nostro metodo educativo, ma tale riforma sarà radicale ed efficace nella misura in cui saremo disposti a toccare la sorgente del problema. È necessario partire da Cristo e dai principi dell’Evangelo se vogliamo dare a questa generazione una parola nuova da appendere ai muri per le strade delle nostre città, una parola che non sia “Ansia” ma “Speranza”.
Con questo proposito in mente nei prossimi mesi dedicheremo una serie di articoli alla vita e all’opera della pedagogista britannica Charlotte Mason (1842-1923) la cui fede evangelica ha ispirato i suoi principi e i suoi metodi. Il centenario della sua morte offre l’occasione per riconoscere il forte legame che c’è tra la fede biblica e la sua filosofia dell’educazione e ascoltando e valutando l’eredità da lei lasciata possiamo riflettere sul futuro dell’educazione nel nostro paese.
“…è dovere dell'educatore mettere la prima cosa al primo posto, e tutte le cose in sequenza; una sola cosa è necessaria: che "abbiamo fede in Dio"; liberiamo i nostri pensieri dalla vaghezza e le nostre vie dall’incostanza, se vogliamo essere utili ai bambini verso questa vita più alta. A questo scopo accogliamo volentieri un insegnamento che sia nutriente piuttosto che stimolante, e che dovrebbe fornire un vero aiuto per "camminare sobriamente nelle pure vie del Vangelo” (Charlotte Mason Series, Vol.2, p.141).