Abbandonare la parola “evangelico”?

 
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Dopo il ciclone Trump, uno degli interrogativi che settori della cultura religiosa americana si stanno ponendo è: la parola “evangelico” va abbandonata? Visto che gli “evangelici” sono stati identificati con una categoria politica (conservatrice), partitica (repubblicana), culturale (nazionalista) ed emotiva (arrabbiata e divisiva), il termine “evangelico” ha esaurito la sua spendibilità? Va rimosso?

La domanda non è peregrina. In effetti il mondo evangelico USA (nella sua accezione più ampia possibile) non ha dato una grande prova di sé nel rapporto con la politica. Di fatto, “evangelico” è stato associato al voto per un candidato, ma ancor più ad una visione politico-culturale molto, troppo acriticamente centrata su una concezione “eccezionalista” dell’identità americana. Se “evangelico” è sinonimo di tutto questo, va perciò rigettato come termine da coloro che non vi si riconoscono? No, per almeno tre ragioni.

Intanto bisogna guardare alla questione dalla prospettiva del “prima”. Prima dell’uso attuale, “evangelico” è stato uno dei descrittori principali del movimento di fede emerso ancor prima della Riforma protestante e che lo ha degnamente accompagnato sino ai giorni nostri. Da John Wycliff (“vir evangelicus”) ai Risvegli “evangelici” (associati a J. Edwards, G. Whitefield, J. Wesley), dai Riformatori del XVI secolo (“evangelici viri”) alle Dichiarazioni evangeliche I e II, “evangelico” ha acquisito un significato solido e sufficientemente stabilizzato da non poter essere messo in discussione dalle vicende USA degli ultimi anni. Prima di ed indipendentemente da Trump, la parola aveva e ha un suo significato storicamente nitido.

Poi bisogna aprirsi al contesto “intorno”. Quando parliamo degli USA, parliamo sicuramente di un Paese che nella storia moderna ha avuto un ruolo importante nel mondo evangelico e lo ha tutt’ora. Molte “cose” evangeliche (missioni, risorse, iniziative) sono americane. Tuttavia, anche gli USA sono una “provincia” dell’evangelismo globale. Da alcuni decenni, l’evangelico medio nel mondo non è più bianco e occidentale, ma meticcio e abitante nel Sud del mondo. Ad esempio, l’Alleanza Evangelica Mondiale, come istituzione di riferimento del mondo evangelico globale, è presente in 129 Paesi e rappresenta più di 600 milioni di evangelici nel mondo. La maggior parte degli evangelici oggi vivono in America Latina, Africa e Asia e quindi le vicende nord-americane attuali, per quanto influenti, non sono dirimenti per determinare il significato della parola “evangelico”:

Infine, un cenno va fatto al contenuto “interno” della parola. Prima che alla storia e oltre il contesto attuale, “evangelico” rimanda all’evangelo, la buona notizia trasmessa nella Bibbia che Dio Padre ha mandato il Figlio Gesù Cristo nel mondo peccatore affinché, per opera dello Spirito Santo, chi crede in Lui non muoia ma abbia vita eterna. Questo è lo zoccolo duro del significato del termine. Gli evangelici sono le donne e gli uomini dell’evangelo, le persone che hanno creduto all’evangelo, che lo vivono e che lo vogliono testimoniare ad altri. Con tutto il rispetto per le situazioni diverse, le vicende politico-culturali di qualsiasi Paese (compresi gli USA) non c’entrano niente con la “buona notizia” di Gesù Cristo che unisce genti di ogni lingua, nazionalità e colore. L’evangelo, non il “sogno americano”, è il DNA del termine “evangelico”. Per nessuna ragione al mondo, esso va abbandonato, ma al contrario usato con consapevolezza storica, con senso di appartenenza ad una famiglia globale e con dignità spirituale.