Se il magistero di Papa Francesco è una “parabola”

 
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Con Papa Francesco sembra che la Chiesa cattolica sia giunta ad una svolta nell’“aggiornamento” della sua auto-comprensione e della sua postura nel mondo contemporaneo. Un cambio di passo, meglio: un cambio d’epoca, sembra essere in atto. A differenza di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, per Francesco la “modernità” non sarebbe più il termine di confronto esterno con cui misurarsi e, nel caso dei suoi predecessori, scontrarsi. I confini tra chiesa e mondo sono diventati così labili e fluidi: siamo “tutti fratelli” chiamati a testimoniare l’ospitalità accogliente e diversificata di un divino presente in modo diffuso. L’apparato concettuale, istituzionale e pastorale della Chiesa cattolica, forgiato da secoli di contrapposizione alla Riforma protestante e alla modernità, così appuntito, abrasivo e tagliato con l’accetta, non sarebbe più adeguato a rispondere alle esigenze di un “ospedale da campo” che accoglie tutti senza distinzioni di credo e stile di vita. 

Il cambiamento di Francesco è che, con lui, la Chiesa di Roma sembra essere meno ossessionata dall’occupazione di “spazi” e più interessata all’avviamento di “processi”. Francesco ha accettato la rivendicazione di autonomia della modernità, senza più sfidarla, ma provando a riallacciare la tela della cattolicità dando priorità ai temi della povertà, del clima, della fratellanza universale che il mondo moderno considera importanti. Alla correzione della fede e della ragione di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, Francesco preferisce dispensare al mondo la “medicina della misericordia”. “Evangelii Gaudium” (2013) contiene questo cambio di passo che non difende più l’esistente in contrapposizione al mondo ma che diffonde il vissuto della Chiesa cattolica in esso lasciando la porta aperta affinché vi sia osmosi tra chiesa e mondo.

Un libro recente (Aa.Vv., Profezia di Francesco. Traiettorie di un pontificato, Bologna, EDB 2020) contiene alcuni spunti interessanti per capire le dinamiche del papato attuale. In un denso saggio, Pierangelo Sequeri analizza il magistero di Francesco richiamandone il carattere di “parabola”. In quello che Francesco dice i codici iniziatici della teologia e del magistero sono decodificati narrativamente ed esistenzialmente e lasciati “aperti” al contributo dell’ascoltatore che li riempie come vuole. Mentre Benedetto XVI chiariva ogni termine e ordinava il pensiero entro una griglia a suo modo coerente e già data, ai discorsi di Francesco bisogna sempre aggiungere dei pezzi. Il ricevente deve “azzardare il completamento” (p. 29) con il rischio che i completamenti siano diversi e anche in contraddizione tra loro. Francesco invita tutti a “costruire insieme la parola della Chiesa” (p. 30), essendo quest’ultima un’opera aperta. 

Inoltre, Sequeri nota “l’idiosincrasia per la forma sistemica” propria di Bergoglio ed esorta a cogliere l’invito a “varcare la soglia aperta da Francesco”. Per Sequeri le aperture di “Amoris Laetitia” (2016) verso i divorziati e verso le famiglie “irregolari” andrebbero lette alla luce di ciò. Quanto l’insegnamento canonico del cattolicesimo sull’eucaristia deve essere semplicemente riproposto/attuato com’è o quanto deve essere “adattato” alle nuove e diverse circostanze esercitando “discernimento” e quindi introducendo una pluralità di risposte? Il divieto di accesso all’eucaristia è perentorio (come vorrebbe la tradizione) o soggetto a valutazioni (come dice “Amoris Laetitia”)? Francesco spinge ad “azzardare il completamento” che non è già deciso a priori, ma va costruito caso per caso. 

Nell’insegnamento di Francesco, questo e altri temi sono lasciati “aperti” come se fossero “parabole” in costruzione. Ciò non riguarda solo la teologia morale. Con la sua visione della fraternità universale, Francesco “apre” la “parabola” anche a Dio, la Rivelazione, la salvezza in Cristo, il giudizio sui peccatori impenitenti, ecc. Ogni insegnamento sembra essere una “parabola” aperta in attesa di essere riempita dagli interlocutori. E’ evidente che il cattolicesimo ha sempre il suo carattere “romano” – dogmatico e istituzionale – che compensa le aperture della cattolicità. Rimangono i dogmi, rimane il catechismo, rimangono i sacramenti, rimane il codice di diritto canonico, rimane il Vaticano! Gli interlocutori di Francesco pensano di avere di fronte un pensiero “aperto”, ma esso è solo una faccia della medaglia che ne ha due. Papa Francesco ama farne vedere una, oscurando l’altra.