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Avere cura di sé senza Dio è vera cura? Intorno a un libro di Luigina Mortari

Conoscere sé stessi, trovare la propria interiorità, ricongiungersi con il proprio io, potenziare le proprie risorse sono i mantra più ripetuti della nostra epoca che permettono ai corsi di self empowerment di essere tra i più pubblicizzati e venduti sul web.  

Il mondo accademico sembra non essere immune a questa tendenza e lo dimostra la pubblicazione del libro Avere cura di sé, Milano, Raffaello Cortina 2019 di Luigina Mortari, docente di Epistemologia della ricerca qualitativa presso la Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università di Verona. L’autrice, adottando un criterio filosofico che trascura, volutamente, il trascendente, parla della teoria della cura di sé come una pratica precristiana, successivamente abbandonata per secoli e riscoperta dal Novecento in poi.

Mortari ritiene il tema della cura di sé necessario e che bisogna ritornare allo studio dei filosofi e letterati antichi, il cui pensiero è pregno di questa ricerca verso lo sviluppo delle virtù. È convinta che ci sia la necessità per l’essere umano di migliorarsi, ricorrendo al pensiero antico pur superandolo per non perdere il contatto con il presente. Utilizza un’ermeneutica dialogica applicata allo studio dei fenomeni della mente e della vita interiore, elementi soffocati dall’imperante società tecnologica che, per quanto aiuti, disumanizza.

Altro elemento che le appare importante è valorizzare il ruolo dell’educatore e dell’educando, ove il primo ha la missione di orientare e l’altro di avere cura di sé e dell’anima. Lo scopo di questa pratica è quella di vivere pienamente il tempo della vita, dando direzione all’esistenza e migliorando la vita politica e sociale.

Come vivere nella società in maniera utile? Come attuare questa cura di sè? La teoria che Mortari suggerisce è l’auto-analisi, ricorrendo a pratiche noetiche di cura, descritte nella sezione più ampia del suo libro. Qualora non si riesca ad ottenere risultati da soli, suggerisce il supporto di esperti che aiutino ad esaminare la fenomenologia della mente, dei pensieri, delle passioni, dei desideri.

L’auto-analisi dovrebbe portare ad una liberazione dalle incrostazioni superflue ed inutili che turbano la vita e le relazioni, convogliando l’attenzione sull’ordo amoris, ovvero sulle cose essenziali, che hanno l’effetto positivo dell’autocura di sé.  Nonostante i suggerimenti dati, Mortari riconosce che la cura di sé è qualcosa di molto difficile da realizzare.

La ricerca ha la pretesa di sembrare laica (cioè scevra da assunti religiosi), matale non è perché non esiste la neutralità. Nello sviluppo del testo si fa ricorso ad una terminologia cara alla fede cristiana biblica. Si parla di trasformazione, di crescita personale, del vivere una buona vita, di scelte etiche responsabili, del vivere bene e fare il bene, pensare bene, dialogare e condividere, dell’apertura alla formazione continua capace di cogliere i rinnovamenti personali e di quel che ci circonda. Il testo è inoltre ricco di citazioni di autori del passato e contemporanei. Per tre volte è citata la Bibbia, facendo riferimento anche a Gesù, senza cogliere le implicazioni per la vera cura di sé da Lui proposta.

Nonostante la dotta ricerca di Mortari e il buon intento di incoraggiare all’aver cura di sé, il libro mostra i limiti di un pensiero disancorato rispetto alle verità bibliche. Per quanto l’autrice si sforzi di suggerire come fare autoanalisi, finisce per lasciare vago il concetto di cura di sé e di ricerca della propria interiorità. Per Mortari condurre una vita densa di significato vuol dire conoscere e scoprire la propria vita interiore: vita interiore che risulta essere l’inizio la fine e il fine dell’esistenza, senza riferimento a Dio, senza collegamento al peccato, senza apertura alla salvezza. Insomma: la visione del sé dovrebbe stare in piedi da sola, ma non ci sta se non la si mette nella cornice della vita creata, caduta e redenta.

Infatti: come capire il mistero della vita senza relazionarsi con il Creatore di essa? Come avere cura di sé senza comprendere il nostro essere peccatori e aprirci all’opera redentiva di Cristo? La cura di sé resta un tema di ricerca appassionante, ma l’esercizio resta vacuo quando la persona viene lasciata da sola a ricercare il senso dentro di sé. È come cercare un ago inesistente in un pagliaio infinito.


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