Bavinckiana (III). Al cospetto del mistero rivelato di Dio

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Dopo esser stata recentemente tradotta in lingua inglese, la Dogmatica di Herman Bavinck (1854-1921) ha raggiunto da un paio d’anni anche il pubblico italiano con la traduzione del secondo volume edito da Alfa&Omega intitolato La dottrina di Dio e della creazione. In esso, il teologo olandese affronta sistematicamente e approfonditamente la conoscenza e l’incomprensibilità di Dio, il suo carattere (nella fattispecie, i suoi nomi, attributi e la Trinità), per poi dedicare l’ultima parte dell’opera al consiglio divino e alla creazione. 

Nel farlo, si ha quasi l’impressione che l’A. abbia progettato una strada a tre corsie, talmente stabile strutturalmente da essere ancora percorribile ai giorni nostri: la Parola ispirata di Dio occupa la corsia di mezzo e su di essa si basa ogni suo ragionamento e discorso. Quella di destra è occupata dai padri della Chiesa e dalla tradizione riformata, le “spalle dei giganti” sul quale poggiarsi per trarre un solido sostegno esegetico e teologico. Infine, la corsia di sinistra, normalmente utilizzata per il sorpasso, è destinata a un confronto serrato e sostenuto con il liberalismo teologico e il modernismo, discrepanze già consolidate all’epoca dell’opera e oggigiorno realtà con il quale fare i conti.

L’A. afferma sin dalla prima pagina che “la conoscenza di Dio è il dogma centrale, il cuore della teologia, di cui costituisce il contenuto esclusivo”. L’impresa di conoscere colui che è al di sopra di ogni cosa non è un arricchimento meramente nozionistico o un esercizio della retorica, ma un percorso che porta “all’adorazione e al culto” perché “conoscere Dio è vivere” la vita eterna donata in Cristo Gesù (p. 15). Però una domanda sorge spontanea: come possiamo noi creature finite, limitate dal tempo e suscettibili di cambiamento, conoscere il Dio infinito, eterno e immutabile? La risposta è da individuare primariamente nelle Scritture. Difatti, gli autori biblici non cercano in alcun modo di dimostrare l’esistenza di Dio, ma la presuppongono, ritenendo “che gli esseri umani abbiano un senso inestirpabile di tale esistenza e una certa conoscenza dell’essenza di Dio” (p. 19). Il sensus divinitatis insito nella creatura non deriva dal merito di un’indagine intellettuale o pragmatica, ma da Dio stesso che ha deciso nella sua spontanea volontà di rivelarsi “nella natura e nella storia, nella profezia e nel miracolo, con mezzi ordinari e straordinari” (p. 20).

La rivelazione comunica che Dio è un essere vivente e cosciente, altro rispetto a noi, e contrariamente alla visione panteistica, separato dal mondo ma al contempo suo continuo sostenitore. Siccome le Scritture sono ricche di antropomorfismi, e descrivono azioni divine ben definite nel tempo e nello spazio, la critica moderna affermava (e tutt’ora afferma) una sorta di evoluzione della visione divina: nelle epoche più antiche del culto israelitico, Yahweh era molteplice divinità di singoli elementi naturali con il quale si identificava (p. es. un dio della montagna, un dio del fuoco, un dio della pietra etc.) e solamente con la conquista della Terra promessa, assume progressivamente il ruolo di unico e assoluto Dio dell’universo e d’Israele. 

L’A. confuta tale visione dimostrando che già nei primordi dell’Antico Testamento Dio non era visto come confinato all’interno di certi oggetti (p. es. pietre commemorative) o circoscritto in dati luoghi (p. es. il monte Sinai), ma consapevolmente conosciuto e sempre considerato come “Signore del cielo e della terra” che “non abita in templi costruiti da mani d’uomo; e non è servito dalle mani dell’uomo, come se avesse bisogno di qualcosa; lui, che dà a tutti la vita, il respiro e ogni cosa” (Atti 17,24-25). La straordinarietà del Dio d’Israele sta proprio nell’aver deciso di rivelarsi visivamente con elementi da lui creati e a lui soggetti (per es. il pruno ardente o la nuvola del tabernacolo), e di aver mostrato “le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità” (Romani 1, 20) attraverso la sua creazione.

E quindi, se il Dio dell’universo ha deciso di farsi conoscere, non vale forse la pena interagire con il proprio Creatore per mezzo di Cristo Gesù e godere della relazione più profonda e soddisfacente che l’essere umano potrà mai sperimentare?