L’elemento umano di Jovanotti

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Dieci anni fa il cantautore amatissimo e superstar della scena pop italiana, Jovanotti, ha scritto una canzone che, quando l’ascolto, mi prende molto, soprattutto la versione acustica. Scritta in chiave minore, L’elemento umano dipinge gli alti e i bassi della vita in una luce realistica. Il suo stile assomiglia ad un genere letterario quasi “ecclesiastico”, nel senso di simile a quello dell’Ecclesiaste. Nel suo quadro di parole Jovanotti fornisce ai suoi ascoltatori un senso accurato di una vita “sotto alle nuvole” in cui, da una parte, ci sono tantissime possibilità di realizzare sogni e progetti emozionanti che comunque, spesse volte, in un modo o nell’altro, non vanno a buon fine. 

Detto questo, la cosa più sorprendente di questa descrizione elegante della vita è il ritornello: “Noi siamo l'elemento umano nella macchina e siamo liberi sotto alle nuvole”. Da una parte ci si può pienamente riconoscere nelle prima parte di questo verso. Come spiega nella sua performance live ad Austin negli Stati Uniti nel 2013 nel suo inglese jovanottiano unico e sempre positivo, Jovanotti dice che noi essere umani siamo l’unica parte, appunto, umana in un mondo che ormai è una macchina complessa di reti e collegamenti superficiali e spesse volte anche artificiali in internet. Su questo punto non è il primo a suonare l’allarme del pericolo della disintegrazione della nostra umanità in un’età così tecnologica, e non sarà l’ultimo. 

La parte, invece, che non mi torna è la frase esplicativa che segue la prima: “e siamo liberi sotto alle nuvole”. Liberi? Noi? Scusa, Lorenzo, ma parli di noi che proviamo “dolore dal quale non c’è mai un pensiero che ci consola”? Noi che facciamo spesso “finta di essere qualcosa”? Noi che, quasi senza fine, cerchiamo lavoro e accumuliamo stress? Noi a cui tocca sempre fare “i conti con i mille volti della paura”? In che senso siamo liberi? 

Da una parte, apprezzo tanto il realismo con cui Jovanotti affronta questa vita sotto alle nuvole. In certi versi è una vita piena di spighe e di cardi, di difficoltà e di ostacoli spesse volte anche insuperabili. Però insieme ad una così ricca descrizione della vita umana non si pone mai la domanda: ma se siamo liberi, perché tutto questo dolore e paura? Perché tutto questo stress, questo bisogno di difendersi o di accusare gli altri? Perché tutta questa perdita e la guerra? Insomma, se in fin dei conti la nostra visione della vita ci dichiara liberi, c’è effettivamente coerenza tra questa nostra “libertà” e la nostra esperienza della difficoltà di questa vita? 

Aggiungo anche il mio apprezzamento della descrizione realistica che Jovanotti fa della nostra condizione umana. Noi che siamo parte dell’elemento umano in questa macchina frenetica della vita, siamo testimoni di tramonti bellissimi, siamo viaggiatori e sognatori che progettano piani da realizzare con tutte le risorse a nostra disposizione. Siamo imprenditori. Siamo avocati che difendono i diritti degli altri. E siamo ingeneri che sanno “studiare un sistema” e “porre un problema” per trovare soluzioni per il miglioramento sia per le nostre vite che per quelle altrui. Eppure, in tutto questo cercare di far presto per avere tempo che avanza, “si scopre di avere un immenso potere che è troppo e mai abbastanza”. 

Per quanto apprezzo tanto questa descrizione accurata non solo perché rispecchia la dignità insita nell’umanità a causa dell’imago dei, o meglio il suo essere fatto all’immagine di Dio rispecchiando il suo valore e carattere, apprezzo forse di più che Jovanotti non si trattiene dall’illustrare la nostra condizione attuale in modo palese e realistico. Con le sue parole che inquadrano le nostre enorme capacità in quanto essere umani, aggiunge in modo geniale che questo potere è troppo ma non è mai abbastanza. 

Però di nuovo devo ripetere la mia domanda di partenza: in che modo, allora, siamo liberi? Se come esseri umani possediamo un tale “immenso potere”, come mai ci risulta “troppo”? E perché non può mai bastarci? Non conseguirebbe che, con questa frustrazione nei confronti delle nostre capacità e delle condizioni attuali del mondo in cui ci troviamo, siamo piuttosto alla mercé della nostra incapacità di domare e di ordinare questo nostro immenso potere? Insomma, se ci risulta troppo ma mai abbastanza, non ci suggerirebbe che forse non siamo così liberi quanto pensiamo?  

Nonostante questo punto interrogativo riguardo alla prospettiva della vita nel ritornello, la ricerca della libertà in quanto emozione fondamentale che risuona nell’anima di ognuno faccia parte dell’elemento umano e sia una ricerca giusta e appropriata. Rispetto a questa ricerca, suggerisco un approccio alla libertà che trovo assai più valido e accessibile, sopratutto in un mondo così pieno di dolore, stress e paura. Parlo di una libertà che non si dichiara libera semplicemente nonostante tutta l’evidenza del contrario. Parlo di una libertà che non si può neanche acquisire secondo i propri termini, trattando con le proprie energie e risorse. Insomma parlo di una libertà di Colui che, nonostante l’immenso potere che possiede (che non è mai troppo ed è sempre abbastanza), l’ha usata per liberare uno come me che si sente fin troppo spesso schiavo del potere concessogli. 

Una tale libertà in mezzo al dolore, alla frustrazione e alle nostre incapacità di domare questo nostro “immenso potere” si può solo trovare nella persona e nell’opera compiuta di Gesù Cristo. Perché solo una Persona che è disposto a sacrificare sé stesso e donare la sua propria libertà per la vera libertà degli altri può sia avere quella libertà indietro, sia dare agli altri la libertà da quello che li schiavizza.