Il beneficio di Cristo (II). Senza la legge non c’è vangelo

 
 

La legge. In un ambito cristiano è una parola che per tante persone crea confusione. Qual è lo scopo della legge? Cosa ha a che fare con il vangelo e la buona notizia di Gesù Cristo? Perché ne dobbiamo ancora parlare visto che Cristo è già venuto ed ha abolito la legge (Efesini 2,14-15)? Se nel sangue di Cristo abbiamo un nuovo patto (1 Corinzi 11,25) e se Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge (Galati 3,13), allora la legge è una cosa del passato e non la dobbiamo più considerare, no? 

Mentre è vero che il sangue di Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge e mentre è vero che in Cristo abbiamo un nuovo patto che abolisce la legge, la buona notizia di Cristo non ha senso se non si comprende la legge, come il Nuovo Testamento non ha senso se non si comprende a fondo l’Antico testamento. 

Nel secondo capitolo di Il beneficio di Cristo, pubblicata nel 1543 e gioiello della spiritualità evangelica del Cinquecento, Marcantonio Flaminio e Benedetto da Mantova evidenziano con chiarezza l’obiettivo della legge per mezzo di cinque uffici di essa.

Prima di sottolineare questi cinque uffici, gli autori notano che Dio “diede per mezzo di Moisè la Legge, la quale proibisce la concupiscenza e comanda che amiamo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze…Comanda poi la Legge che amiamo il nostro prossimo come noi medesimi, intendendo per prossimo ogni condizione di uomini, così amici quanto nemici…” [1] 


Ma c’è un problema. Il peccato. Essendo morto nei suoi peccati, l’uomo non riesce ad obbedire alla legge. La sua natura è adesso contro la legge ed è contro l’obbedienza a Dio.

“L’uomo adunque, risguardando, come in un lucido specchio, in questa santa Legge, tosto conosce l’infirmità sua e impotenza di ubbidire alli comandamenti di Dio e rendere il dovuto onore e amore al suo Creatore” (p. 32). Riconosciuto questo, Flaminio e Benedetto possono definire i cinque uffici della legge. 

Primo ufficio della legge: “Adunque il primo ufficio che fa la Legge, è questo: che fa conoscere il peccato, come afferma san Paulo (Rom. 3:20); e altrove dice: ‘Io non ho conosciuto il peccato se non per la Legge (Rom. 7:7)’” (p. 32). 

Secondo ufficio: “Il secondo ufficio della Legge è che fa crescere il peccato, perché, essendo noi separati dalla ubbidienza di Dio, e fatti servi del diavolo, e pieni di viciosi affetti e appetiti, non possiamo tolerare che Dio ci proibisca la concupiscenza, la quale tanto più cresce quanto più è proibita (Rom. 7:9,13)” (p. 32). 

Terzo ufficio: “Il terzo ufficio della Legge è che manifesta l’ira e il iudicio di Dio, il qual minaccia morte e pena eterna a quelli che non osservano pienamente la sua Legge, percioché la Scrittura santa dice: ‘Maledetto chi non osserverà constantemente tutte le cose che sono scritte nel libro della Legge’ (Rom. 4:15; 7:5, 10; Gal. 3:10; Deut. 27:26). Perciò dice san Paulo che la Legge è amministrazion di morte e ch’ella opera ira (2 Cor. 3:7)” (p. 32). 

Quarto ufficio: “Avendo dunque la Legge scoperto il peccato e accresciutolo e dimostrato la ira e furor di Dio, che minaccia la morte, fa il quarto ufficio, spaventando l’uomo, il quale viene in disperazione e vorrebbe satisfare la Legge; ma vede chiaramente che non può, e, non potendo, si adira contro Dio…come dice san Paulo che la prudenza della carne è inimica di Dio, perché non è suggetta alla Legge di Dio, né può (Rom. 8:2,7)” (p. 33). 


Quinto ufficio: Il quinto ufficio della Legge e il proprio suo fine, e più eccellente e necessario, è che dà necessità all’uomo di andar a Cristo: sì, come gli Ebrei, spaventati, furono sforzati a dimandar Moisè dicendo: ‘Il Signor non parli a noi, accioché non moriamo: parli tu a noi, e ubbidiremo a faremo ogni cosa’ (Es. 20:19; Deut. 5:25-27).

E il Signor rispose: ‘Hanno parlato ottimamente’ (Deut. 5:28; 18:17). E non per altro furon lodati, se non perché domandarono un mediatore tra essi e Dio, il quale era Moisè, che rappresentava Iesù Cristo, che avea ad esser avvocato e mediatore fra l’uomo e Dio. E perciò Dio disse a Moisè: ‘Io gli susciterò un profeta del mezzo delli loro fratelli simili a te, e porrò la mia parola nella sua bocca, e parlerà loro tutte le cose ch’io li comanderò, e punirò chiunque non ubbidirà alle parole mie, le quali egli parlerà a mio nome’ (Deut. 18:18-19; At. 3:22-23)” (p. 33). 

Oggi c’è una forte tentazione di non parlare più della legge. Come Il beneficio di Cristo evidenzia, se parliamo della legge allora dobbiamo parlare anche del peccato, della condanna, dell’ira e del giudizio di Dio, e anche dell’inferno. Si preferisce invece parlare soltanto dell’amore di Dio e come siamo tutti fratelli e tutti figli di Dio.

Ma se non parliamo della legge e se non la approfondiamo, allora è impossibile arrivare alla realtà che la legge esiste perché dà necessità all’uomo e alla donna di andare a Cristo e fidarsi di lui come l’unica via di salvezza e l’unico mediatore e avvocato fra noi e Dio. Senza legge non si arriva all’evangelo. Il beneficio di Cristo insegna che la legge esiste per evidenziare il nostro peccato e per esaltare la bellezza del vangelo di Cristo. 

Della stessa serie:

“Il beneficio di Cristo (II). Un libriccino del Cinquecento da riscoprire” (5/9/2024)

[1]: Le citazioni sono tratte da Benedetto da Mantova e Marcantonio Flaminio, Il beneficio di Cristo, a cura di Salvatore Caponetto, Torino, Claudiana 2009