Stranieri ovunque. Uno sguardo alla Biennale di Venezia

 
 

Sospesi sull’acqua e riflessi nell’antica darsena, all’ingresso dell’Arsenale, sono le sessanta versioni in lingue diverse della scritta al neon Stranieri ovunque. L’esposizione è una celebrazione dello straniero in tutte le sue forme. Lo straniero, infatti, è la macrocategoria individuata dal curatore della Biennale di Venezia 2024, Adriano Pedrosa, direttore artistico del Museo d’arte di San Paolo (Brasile). 


Quarantatré sono stati i Paesi partecipanti alla 60esima Esposizione Internazionale d’Arte, tra i Giardini, l’Arsenale e il centro storico di Venezia; oltre 300 artisti provenienti da ogni dove, la maggior parte provenienti da zone del mondo in genere sottorappresentate come l’Africa, il Sud America, l’Asia, il Medio Oriente e sconosciuti al grande pubblico, frutto di una personale ricerca diretta da parte del curatore stesso.

Una strana scelta quella di Pedrosa di portare all’interno di una esposizione contemporanea artisti non più in vita, dando invece spazio a persone dimenticate o rimaste ai margini.


Considerando il tema, ampio spazio è stato dato ad artisti indigeni in quanto stranieri nella propria terra, immigrati, rifugiati, espatriati, portando la riflessione sui fenomeni di migrazione e di decolonizzazione. Il concetto di straniero sembra poi esser stato allargato al concetto di estraneo aprendo la strada a molti artisti queer.


Le tematiche toccate sono legate all’estraneo, allo strano, allo straniero, anche all’interno della propria stessa terra. Estranei anche a sé stessi, concetto espresso in molte opere come, ad esempio, quella di Madge Gill, Crucifixion of the Soul, un disegno ad inchiostro nel quale emergono figure femminili, motivi a scacchiera e scale che, se letto in chiave psicologica, rappresenta il pensiero dell’artista outsider e la sua personale convinzione che la sua mano fosse guidata da uno spirito. 


Una Biennale particolarmente artigianale viste le tante opere di tessuti e arazzi, cariche di segno e narrativa. Sembrano infatti esser state rivalutate tradizioni artistiche, tecniche e stili non appartenenti allo sguardo occidentale. Molti i lavori tessili che richiamano l’artigianato e la tradizione tanto da annullare quasi del tutto la realtà in cui invece ci troviamo oggi, digitale e artificiale. 


È una mostra che guarda molto al passato, fonda il suo sguardo nella storia; è una rassegna che non fa il punto della situazione attuale e non lascia prospettiva alcuna sul futuro. L’unica percezione legata alle tensioni del presente la si può riscontrare nella chiusura del padiglione Israele presidiato da una coppia di militari e dalla Russia che ha ceduto il suo spazio alla Bolivia.


Il tema dello straniero, dell’essere stranieri, dell’accoglienza dello straniero, ecc. è molto presente nella Bibbia e quindi nella coscienza cristiana [1]. “Fui straniero” (Matteo 25.35) è la constatazione che spinge Gesù ad interpellare i suoi seguaci a ripensare alle loro relazioni con gli stranieri, non più in termini di menefreghismo o paura, ma osando intraprendere il cammino della relazione.  


Nella Biennale di questo filo rosso biblico non c’è stato cenno consapevole. Inoltre, tra le varie accezioni legate al concetto di straniero ne è mancato un altro. I cristiani e le minoranze religiose, nel passato come nel presente, sono perseguitati in molti Paesi e in modi differenti perché manca un riconoscimento della diversità e delle pluralità. Molti cristiani sono “stranieri” nel loro stesso Paese.


Nonostante la libertà religiosa è considerata la madre di tutte le libertà (come si legge in una risoluzione approvata dalla Camera dei deputati nel gennaio 2011), non viviamo in un contesto in cui questa è difesa e promossa. Nonostante il livello di persecuzione cristiana continui a salire, il problema sembra essere ignorato, nel dibattito mondiale così come nell’arte.


All’interno dei padiglioni ci sarebbe potuto essere uno spazio per riprendere quello che la Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali oppure per ultima - ma non ultima - la Costituzione italiana, riconoscono essere un diritto umano fondamentale.

Un acquerello su carta, un tessuto dipinto, una pietra lavorata avrebbero potuto portare l’attenzione su una fetta importante di stranieri che da sempre soffre ovunque, contribuendo così alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica nei confronti di una parte essenziale della dignità umana. 


Peccato, perché il titolo della grande esposizione 2024 - Stranieri ovunque - non avrebbe potuto essere più giusto.

[1]: Si veda, ad esempio, “Stranieri con noi”, Studi di teologia – Suppl. N. 7 (2009).