Famiglie palestre di discepolato (II). Noi in quanto figli

 
 

“Onora tuo padre e tua madre, come il Signore, il tuo Dio, ti ha ordinato, ​affinché i tuoi giorni siano prolungati ​e affinché venga a te del bene sulla terra che il Signore, il tuo Dio, ti dà” (Dt 5,16). Così recita il quinto comandamento, istituito da Dio nella sua Legge, il quale stabilisce una relazione di autorità tra genitori e figli all’insegna dell’onore. È una relazione iscritta nell’ordine della creazione, rinsaldata da un comandamento specifico e riaffermata dalle prescrizioni dell’evangelo. Una relazione alla quale è collegata la promessa del favore di Dio per quanti vi ubbidiscono.


Questo comandamento ci ricorda che siamo tutti figli nelle nostre famiglie e nella famiglia di Dio, che chiamati a onorare i propri genitori, onorare coloro che sono in autorità e sopra tutti onorare Dio.


Cosa vuol dire, perciò, essere figli alla luce di questo imperativo divino? Se ne è parlato durante il secondo appuntamento di “Famiglie palestre di discepolato”, un modulo di teologia pratica promosso dalla rete di chiese Breccia di Roma e prendendo a spunto il libretto di Tim Challis, Onora tuo padre e tua madre: il comandamento dimenticato, Roma, Adi Media 2022.


Quando si parla di autorità e onore, però, non si può fare a meno di pensare anche alla cultura in cui questo onore prende forma.

Ci sono culture in cui l’onore dovuto ai genitori assume un valore talmente grande da diventare un peso e un legame opprimente per i figli; la dipendenza è totalizzante, l’onore è idolatrato e ciò che è richiesto da Dio è trasformato in controllo e asservimento non solo fisico e materiale ma anche emotivo. In altre culture, al contrario, il comandamento sembra essere del tutto ribaltato.

Sono piuttosto i genitori ad onorare i propri figli al punto da favorirne una totale indipendenza su ogni fronte. Qui l’autonomia è idolatrata perché ogni forma di dipendenza è temuta, rifiutata e vissuta con vergogna. Il comandamento dell’onore è annullato a fronte della personale e completa autonomia.


Quel rapporto di autorità e onore che Dio ha stabilito nella relazione tra genitori e figli è evidentemente distorto dal peccato. Il comandamento di Dio è disatteso con la conseguente privazione del favore di Dio e numerose e disastrose conseguenze sul fronte personale, familiare, ecclesiale e sociale.

A causa del peccato la relazione di onore nei confronti dei genitori può essere davvero difficile e segnata da distorsioni orribili, come nei casi di abbandono, abuso, negligenza. Si capisce, perciò, quanto sia fondamentale per l’intera vita, per la vita della chiesa e della società recuperare questa relazione di figliolanza a partire dal comandamento di Dio e dall’opera redentiva e dagli insegnamenti di Gesù Cristo. 


Il comandamento non viene eliminato, ma è la relazione che va discepolata. Qualora i genitori richiedano da noi qualcosa che disonora Dio, la Sua Parola ci invita ad obbedire a Lui rispondendo con onore, dignità, calma e rispetto (At 4,19).


Il fatto che un genitore abusi della propria autorità non scredita né svaluta il ruolo di autorità. Esso resta un istituto divino che va onorato e valorizzato perché come ci ricorda Rom 13,1 “non vi è autorità se non da Dio”.

Ecco perché anche quando la relazione è rotta irrimediabilmente e non è possibile mantenerla, possiamo comunque onorare i genitori, perdonando, pregando per loro e confidando nella sovrana e giusta volontà Dio che non sbaglia.


Inoltre, onore e accordo sono due cose differenti: possiamo esprimere disaccordo su questioni importanti continuando a mostrare rispetto. E ciò non implica in alcun modo incoraggiare scelte disonorevoli. Onorare non vuol dire coprire e nascondere il male dei nostri genitori: gli abusi vanno denunciati e il peccato profeticamente evidenziato, pur mostrando amore e grazia mentre invitiamo al ravvedimento.


Ma in quali modi si mostra l’onore? Certamente l’onore implica l’ubbidienza quando c’è dipendenza dai genitori legata alla giovane età, come l’apostolo Paolo ricorda nelle sue lettere (Ef 6; Col 3; 1 Tim 3; Tito1,6). Ma questa è solo una parte del mostrare onore, che è inoltre temporanea e sempre limitata all’obbedienza primaria di Dio.

L’onore è qualcosa di più profondo e che non ha clausole. Esso assume forme che esprimono gratitudine a Dio e ai genitori che egli ci ha donati.


L’onore implica perdono. I genitori non sono perfetti, posso sbagliare, prendere decisioni avventate, irritarci, deluderci, ferirci a volte anche in modi molto profondi. Il Signore ci chiama a perdonarli secondo l’esempio della grazia Cristo, confidando in Dio oltre i loro errori per guarire dalla rabbia e dall’amarezza.


Possiamo parlare bene di loro. Se la nostra cultura incita alla maldicenza, rifiutarci di parlar male di loro sarà un frutto controculturale dell’evangelo. Possiamo stimarli pubblicamente e privatamente, mostrando gratitudine e apprezzamento per tutti i modi positivi in cui hanno influenzato le nostre vite. 


Non dobbiamo disprezzare il loro consiglio ma piuttosto ricercare la loro saggezza soprattutto se sono dei figli di Dio. Anche da adulti, nonostante la completa responsabilità nelle nostre scelte, non snobbiamo la loro saggezza.


Sosteniamoli con gioia, trovando forme di amore, cura e vicinanza e servizio, che siamo ancora dipendenti da loro, o che siano loro a dipendere da noi. Potrebbero esserci occasioni in cui i nostri genitori avranno bisogno del nostro sostegno economico. Gesù condannò severamente coloro che si rifiutavano di accudire i propri genitori adducendo giustificazioni pie e religiose (Mr 7). 


L’apostolo Paolo ricorda in 1 Timoteo 5 che prendersi cura dei propri cari compiace Dio, conferma la fede (chi non lo fa “è peggiore di un incredulo” v.8) e alleggerisce la chiesa, la quale può occuparsi di coloro che non hanno una famiglia che provveda per loro. 


Se è vero che i figli devono onorare i propri genitori è altrettanto vero che i genitori devono rendere facile questo compito. Proverbi 17,6 dice che “i padri sono la gloria dei loro figli”. C’è un grande incentivo all’obbedienza e all’onore quando i figli hanno genitori di cui essere fieri, rispettati nella loro comunità, amorevoli e scrupolosi nell’ ammaestrarli e fruttuosi nelle loro vite personali in Cristo. 


Siamo tutti figli. Il comandamento è chiaro in ciò che afferma eppure a causa delle distorsioni del peccato, rappresenta nella vita quotidiana una vera e proprio sfida che richiede la saggezza di Dio e la preghiera.

Le famiglie cristiane devono essere all’altezza di essere palestre di discepolato, in cui la relazione di autorità e onore tra genitori e figli è riesaminata alla luce della Scrittura, guarita dai presupposti culturali distorti dal peccato e per l’opera dello Spirito Santo e nella comunione del popolo dei discepoli è vissuta in modo rinnovato a beneficio di un’intera comunità.



Della stessa serie:

“Famiglie palestre di discepolato (I). Se non nelle famiglie dove?” (29/10/2024)