Botero “oversize”. Dipingere l’abbondanza, ma come viverla?
L'arte di Fernando Botero (1932-2023), in esposizione a Palazzo Bonaparte a Roma, porta coloro che si interfacciano con i suoi dipinti e le sue sculture a ricordare indelebilmente il suo stile. Se quando si parla di Caravaggio non si può che pensare al realismo e ai chiaroscuri, e così di Picasso al cubismo e Kandinsky all'astrattismo, nel caso di Botero si potrebbe parlare di "sovradimensionismo". Il mondo di Botero, soprattutto le persone che raffigura, è “oversize”.
"Colombiano più dei colombiani", Botero viaggiò in lungo e in largo per sviluppare il suo talento e misurarsi con gli artisti del momento. La tappa che rivoluzionò più di tutte il suo stile fu quella fiorentina, dove rimase affascinato dalle opere del Massaccio e di Piero della Francesca. La prospettiva, i colori, la forma e il volume dati ai soggetti rinascimentali lo colpirono a tal punto da volerli replicare all'estremo. Il risultato furono rappresentazioni "extra-large", dove la morbidità e la sinuosità dominano la tela e il bronzo.
Il motivo che lo portò ad elaborare questo stile peculiare fu la reazione alla “realtà piuttosto arida” nella quale era nato e cresciuto, contrassegnata da povertà, criminalità e ingiustizie. Mentre a Lima Gustavo Gutierrez elaborava la sua dibattuta teologia della liberazione, a Medellin Botero trovava nell’arte il canale per esprimere il desiderio di vedere una realtà diversa da quella vissuta. Nell’universo di Botero, uomini, animali, frutta e fiori “sovrabbondano” dando un senso di pienezza e soddisfazione, quegli stessi elementi mancanti nella sua Colombia.
A suo modo, Botero è riuscito ad esternare ciò che tanti desiderano: un mondo sovrabbondantemente colorato, giusto e prospero. Una speranza che getta luce sulla consapevolezza dell’uomo di trovarsi in una realtà che dovrebbe essere diversa. Mi chiedo però se Botero abbia dipinto e scolpito con la speranza che il suo desiderio si potesse avverare o con il rammarico che quello che stava facendo sarebbe rimasto solamente sulla tela e sul bronzo.
Se da un lato è improbabile pensare di avere una risposta soddisfacente, dall’altro possiamo ipotizzare che questa speranza non l’avesse riposta in Dio. Il suo immaginario era infatti stato influenzato da una chiesa cattolica che in Colombia deteneva tanto potere e ricchezza, a tal punto che lui stesso era giunto a definire l’arcivescovo una sorta di altro papa.
D’altra parte, coloro che guardano i suoi dipinti e hanno riconosciuto l’aridità causata dal loro peccato e hanno incontrato la sovrabbondante grazia di Dio (Rom 5,20) e le ricchezze in Cristo Gesù (Ef 1,3-23) possono affermare che ciò che l’artista colombiano ha allegoricamente raffigurato può essere realmente sperimentato. Non nell’immaginazione, né nell’utopia, ma in Cristo. La grazia di Dio, infatti, tocca le persone, dona loro in modo sovrabbondante il suo amore e li porta nel contesto della chiesa ad essere motori di cambiamento sociale per la gloria di Dio in attesa del momento in cui “egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore” (Ap 21,4). In Cristo abbiamo tutto e pienamente (Colossesi 2,10).