Il futuro della chiesa cattolica? Un simposio di First Things

 
 

Periodicamente il futuro della chiesa cattolica fa capolino nel dibattito religioso. Cosa ne sarà del cattolicesimo romano domani? Solo per citare un paio di titoli, ricordo un libro del vaticanista americano John Allen di quindici anni fa, The Future Church. How Ten Trends are Revolutionizing the Catholic Church (New York, Doubleday 2009) e uno dello storico italiano Andrea Riccardi, La Chiesa brucia. Crisi e futuro del cristianesimo (Bari, Laterza 2021). Il discorso è sempre vivo. Tutti ci facciamo domande su domani e dopodomani.

Non sorprende, allora, che una rivista cattolica conservatrice come First Things abbia pubblicato un simposio dal titolo “Il futuro della chiesa cattolica” (August 2024), interpellando cinque teologi cattolici (tutti di orientamento conservatore), tre americani, un nigeriano e un polacco. I temi trattati sono la governance, la chiesa e l’occidente secolare, la chiesa globale, il magistero e la liturgia. Di fatto, siamo vivendo la fase calante e finale di papa Francesco e il tema del futuro non è solo un esercizio astratto. E’ probabile che, di qui a poco, la chiesa cattolica sia chiamata a prendere decisioni importanti sul proprio futuro. 

Cosa emerge dal simposio? Ecco alcuni spunti.

Intanto, interrogarsi sul futuro della chiesa cattolica esige che si prenda posizione sul passato recente, almeno a partire dal Vaticano II (1962-1965). Molte delle questioni sul tappeto (la lettura del mondo, il dialogo tra le religioni, le sfide della cultura contemporanea, le riforme interne alla chiesa) sono figlie o nipoti dell’ultimo Concilio. Si può dire che, a distanza di 60 anni dal Concilio, la chiesa cattolica sta ancora dibattendosi sul suo significato, sulle interpretazioni, sulle implicazioni del Vaticano II. Le voci raccolte da First Things distinguono tra il Concilio che accettano (pur riconoscendo alcune ambiguità nei suoi testi) e le applicazioni che rifiutano quando sono state ispirate, a loro modo di vedere, dal desiderio di rottura rispetto alla tradizione. Nessuna sorpresa nel leggere che la linea di lettura del Concilio abbracciata è quella indicata da Benedetto XVI: per loro, il Vaticano II deve essere recepito con una “ermeneutica della continuità”.

Poi, ogni riflessione sul futuro implica una valutazione del papato di Francesco. Qui i giudizi dei teologi cattolici interpellati sono molto critici e negativi. Pur considerato legittimamente papa, Francesco è considerato sia “causa” che “sintomo” della crisi del cattolicesimo. L’ambiguità dottrinale, i doppi standard nel trattare i casi di abuso sessuale, la centralizzazione del potere (ironicamente fatta passare sotto forma di “sinodalità”), la scarsa trasparenza dei comportamenti e delle decisioni … tutto questo rende l’attuale papato una spina nel fianco del cattolicesimo conservatore. In particolare, sono criticati questi cambiamenti introdotti da Francesco: la condanna assoluta della pena di morte (la cui legittimazione in alcuni casi è stata tolta dal Catechismo), l’accesso ai sacramenti anche a chi non vive nel matrimonio o nella castità (previsto in Amoris laetitia), la benedizione delle coppie dello stesso sesso (previsto in Fiducia supplicans). E’ ovvio che questo pezzo di cattolicesimo spera che l’era di Francesco finisca il prima possibile e che sia seguita da papi che riprendano la linea, ai loro occhi più integra e coerente, di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

Inoltre, il simposio punta il dito su un vulnus presente nella lettura del Vaticano II della modernità occidentale. Salvo esprimere consapevolezza dei rischi dell’ateismo ideologico, il Concilio ha dato un’interpretazione speranzosa e positiva del mondo moderno, pensando che l’umanesimo cristiano avrebbe intercettato i cambiamenti e offerto una sintesi accettabile a tutti per “santificare” il mondo. Di fatto, la secolarizzazione si è evoluta in forme non solo anti-cristiane (solo in parte ed in forme lievi previste dal Concilio) ma soprattutto indifferenti alla fede. Questo il Vaticano II proprio non lo ha anticipato: tutta l’impostazione del cattolicesimo degli ultimi decenni ha avvicinato la secolarizzazione pensando di carpirne le pulsioni profonde, ma non l’ha veramente capita. Il risultato è stato che la chiesa non ha “santificato” il mondo moderno, ma è stato il mondo moderno a demistificare se stesso e, in parte, la chiesa. Come scrive Michael Hanby, “le nostre élites culturali non pensano a Dio”. La strategia del cattolicesimo di papa Francesco è stata di scendere a patti con la secolarizzazione, abbassare le soglie d’ingresso nella chiesa, limitare le aspettative della pratica cattolica, rendere fluidi gli impegni dottrinali e morali. Tutto inutile. L’Occidente non si è avvicinato alla chiesa cattolica, ma ha continuato il suo congedo da essa. 

Questo è un punto nevralgico del simposio. Secondo i pareri raccolti, la chiesa cattolica, nei suoi vertici attuali, non legge in modo adeguato il mondo occidentale e quindi non capisce fino in fondo le sue sfide. Pensa che la secolarizzazione sia “buona”, pur con qualche asperità ideologica, comunque integrabile nella sintesi cattolica, aggiornata dal Vaticano II e interpretata da Francesco nel segno della misericordia. Cerca di rincorrere l’Occidente secolarizzato sul suo terreno, ma la secolarizzazione sposta sempre più in avanti la sua corsa verso esiti indifferenti od ostili al cattolicesimo.

La ricetta proposta è di tornare ad una forma di cattolicesimo romano che si lascia guidare dalla teologia scolastica (leggi Tommaso d’Aquino), non minimalista ma pienamente “cattolica” e “romana” allo stesso tempo, senza culti della personalità come quello che ha caratterizzato il papato di Francesco: un cattolicesimo che si “sviluppa” nel senso della crescita organica (à la John Henry Newman), senza rotture col passato e con un atteggiamento “muscolare” nei confronti della modernità secolarizzata. Insomma, il cattolicesimo conservatore americano guarda al futuro immaginando la Chiesa cattolica come la versione globale espansa di sé. Pare essere una percezione alquanto regionale e limitata. Nessuna riforma in senso evangelico è anticipata. Eppure, senza ritorno al vangelo biblico, il futuro del cattolicesimo non è affatto luminoso.