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Dialogo coi cattolici sì, ma nella verità sempre. Quello che manca all’intervista di Iovino a papa Francesco

“Amicizia” e “dialogo” compaiono già nel titolo di Alessandro Iovino, Il racconto di un’amicizia. Dialogo tra papa Francesco e il pastore Giovanni Traettino, Milano, Eternity 2024, pp. 182 e sono i due binari su cui vengono fatti scorrere i materiali raccolti nel volume: l’intervista di Iovino a papa Francesco e al pastore Traettino (avvenuta il 7 novembre 2023), una riflessione di Iovino a corredo della stessa, i discorsi del papa cattolico e del pastore evangelico in occasione dell’incontro di Caserta nel 2014, varie interviste rilasciate dal pastore Traettino, brevi interventi di diversi esponenti evangelici e cattolici che hanno partecipato ad incontri informali col papa.

Insomma, il libro dà voce ad un fermento presente nel mondo evangelico italiano ed internazionale riguardo ad un cambio di postura nei confronti del cattolicesimo. L’onda lunga del movimento ecumenico (che ha interessato il protestantesimo storico sin dai primi anni del Novecento) ha iniziato a lambire anche l’evangelicalismo non tanto per via istituzionale e teologica, ma relazionale ed emotiva. Le “battaglie culturali” degli Anni Ottanta prima e la diffusione trasversale del movimento carismatico poi, culminata col papato di Francesco che aveva molte conoscenze nel mondo evangelico-pentecostale argentino e le coltiva tuttora, hanno fatto da apripista alla stagione attuale di cui il libro è una testimonianza in presa diretta.

Detta in breve, in questa nuova fase contrassegnata dalla smobilitazione degli steccati che hanno retto per secoli, alcuni evangelici stanno scoprendo che il cattolicesimo non è poi così “brutto e cattivo” come è stato dipinto. Se poi a rappresentarlo è papa Francesco, notoriamente “caldo” nelle relazioni e “morbido” (gesuita?) nella teologia, si capisce che le posizioni ereditate siano soggette a ripensamento. Si tratta di un movimento forse non ancora maggioritario, ma potenzialmente sismico nell’impatto sulla testimonianza evangelica almeno come l’abbiamo conosciuta sin qui: non più distinta e distante dal cattolicesimo, ma in osmosi con esso e sicuramente non più in spirituale opposizione.

“Amicizia e dialogo” sono le voci con cui si presenta questo cambio di registro in corso. Sembrano essere le due password con cui si apre un mondo nuovo. Come testimonianza italiana di relazioni in via di costruzione, il libro offre uno spaccato utile a capire la traiettoria di questo movimento. In particolare, sono due i motivi di interesse: a cosa “amicizia e dialogo” col cattolicesimo sono contrapposti e quali motivazioni teologiche vengono date per il cambiamento di postura.

1. Le voci principali del libro (il pastore Traettino, papa Francesco e Iovino) paiono avere un convitato di pietra: chi tra gli evangelici, a loro dire, non segue i binari di “amicizia e dialogo” come loro. Pensando a loro e anche a sé stessi prima della “conversione” all’amicizia e al dialogo, Traettino parla di “paradigma anticattolico” (18) nutrito di “pregiudizi” (49): un “anticattolicesimo” viscerale (18,110,130) che porta a “chiusura pregiudiziale” (123) o, ancora, a “posizioni anticattoliche” (130) prigioniere del pregiudizio (138,140). Il combinato disposto di atteggiamento antagonista e di prigionia nel pregiudizio impedirebbe non solo di avere comunione spirituale, ma persino di incontrare e parlare coi cattolici.

Questa lettura negativa è condivisa da papa Francesco che parla di “pregiudizi” (36) da parte di chi non entra nel meraviglioso mondo dell’ecumenismo spirituale e da Iovino che parla di “pregiudizi” da mettere da parte (78) e che hanno impedito qualsiasi confronto (77). Il quadro che emerge tende a dipingere i tratti di una specie di “mostro”: un evangelismo spiritualmente ottuso ed ideologicamente ingabbiato, difensivo e autoreferenziale, totalmente incapace di andare oltre la propria narrazione identitaria costruita in sorda opposizione al cattolicesimo.

Non metto in dubbio che questa possa essere stata l’esperienza degli autori e che essa abbia avuto bisogno di “guarigione” (come dice Traettino: 22,31, e poi Iovino: 77). Il punto è semmai proiettarla su secoli di storia evangelica e su milioni di credenti evangelici nel mondo quasi fosse la zavorra che blocca tutto e tutti. Siamo tutti incatenati all’anticattolicesimo pregiudiziale che ci impedisce di coltivare amicizia e dialogo coi cattolici? Questa domanda è da farsi e la lettura del libro utilmente la solleva. Non dubito dell’onestà degli autori nel condividere la loro esperienza che ha colorato la loro fede evangelica di asprezze anti-cattoliche. Quello che mi fa problema è la proiezione su tutto e su tutti del loro vissuto e la conseguente creazione e demolizione di un idealtipo dell’evangelico indisponibile al dialogo.

Appartengo a quel gruppo di persone a cui Iovino e Traettino vuole rivolgersi nel raccontare la loro testimonianza di conversione ecumenica. Mi sono pertanto fatto la domanda: ma davvero sono irretito nel paradigma anti-cattolico e nel pregiudizio che obnubila la mia visione delle cose? La risposta è no, credo: studio il cattolicesimo in senso professionale da quasi trent’anni, dialogo con teologi cattolici a tutti i livelli e in molti contesti, sono amico di cattolici in vari gradi di identificazione con la chiesa di Roma, sono impegnato a favore dell’unità evangelica oltre la mia denominazione. Sono critico nei confronti del cattolicesimo come sistema, aperto al dialogo con tutti, persino alla collaborazione coi cattolici su temi e questioni di interesse comune.

Più in generale, davvero il movimento evangelico può essere descritto con queste fosche tinte? Mi spiego: l’anti-cattolicesimo (meglio: l’anti-romanismo, perché la fede evangelica è quella biblicamente ed autenticamente “cattolica”, cioè universale) è iscritto nella fede evangelica e non a partire dalla Riforma del XVI secolo. Biblicamente, ci sono buone ragioni per sostenere che il cattolicesimo romano sia una deviazione dal cristianesimo biblico per aver ingigantito l’istituzione ecclesiastica, assorbito pratiche pagane, dogmatizzato credenze contrarie alla Scrittura. Al contrario di altri movimenti cristiani che sono aperti alla conversione biblica delle proprie dottrine e strutture (nessuna realizzazione della chiesa è perfetta!), Roma si è costruita addosso un vestito dogmatico e devozionale che non può riformarsi secondo l’evangelo, ma solo continuare ad espandersi in tutte le direzioni senza essere guidato dalla fedeltà al Signore.

Storicamente, i movimenti evangelici medievali (considerati dispregiativamente come “ereticali”), poi la Riforma, poi i risvegli evangelici che sono seguiti nei secoli successivi sono stati portatori di un’istanza pro-evangelo e quindi anti-romana, non nutrita da ragioni prevalentemente emotive, ma primariamente spirituali. Nelle loro diversità, tutte le espressioni dell’evangelismo storico hanno visto nel cattolicesimo una forma antagonista all’evangelo per il fatto di averlo nascosto o contraffatto, se non proprio combattuto. Questo non è un pregiudizio infondato, ma la constatazione di una costruzione dogmatico-istituzionale-devozionale (quella romana) che confligge con l’evangelo da cima a fondo. Questa convinzione ha animato gli sforzi missionari evangelici verso i cattolici, sapendo di non trovare nella chiesa di Roma un alleato per l’evangelo, ma semmai un avversario. E’ tutto questo solo un ammasso di infondati “pregiudizi” e di bieco anticattolicesimo?

Prendiamo come esempio l’Alleanza evangelica (citata più volte nel libro): la sua secolare lettura del cattolicesimo è tutta frutto di pregiudizi e antagonismo o non è nutrita da convinzioni evangeliche che favoriscono il vero dialogo più che impedirlo?[1] Certamente, non sempre le performance evangeliche sono state all’altezza dell’evangelo e si possono trovare rigidità emotive, caricature e chiusure a prescindere; tuttavia, gli evangelici in genere hanno saputo argomentare biblicamente la loro distanza dal cattolicesimo mentre conversavano coi cattolici; hanno provato a distinguere la denuncia delle deviazioni del cattolicesimo dall’amore per i cattolici, accompagnandola spesso da dialogo personale ed anche da rapporti amichevoli. Con eccezioni, nel sostenere che il sistema cattolico era ed è biblicamente fallace, gli evangelici non hanno detto che tutti i cattolici fossero perduti per il fatto di essere tali. Solo Dio lo sa: se una persona di affida a Cristo soltanto e nasce di nuovo, la promessa di Dio è che sia salvata. Con eccezioni, l’atteggiamento evangelico non è stato indisponibile al confronto, ma desideroso di misurarsi con la verità di Cristo secondo la Scrittura. Gli evangelici non hanno voluto sentimentalizzare il dialogo, ma semmai svolgerlo in modo bereano (Atti 17,10-11), avendo la Scrittura come misura della conversazione. Essi hanno attuato il “dialogo” nel senso paolino del termine: “discorrere”, “conversare”, “annunciare”, “parlare” (Atti 17,16-32), anche coi cattolici.

In sostanza, tutti abbiamo “pregiudizi” (pastore Traettino e papa Francesco compresi), anche perché essi sono inevitabili. Il punto non è avere o non avere pregiudizi. La vera questione è su cosa fondare le valutazioni e quale sia la struttura di plausibilità dei nostri giudizi. Traettino e Iovino possono legittimamente dire di aver cambiato “giudizio” rispetto al cattolicesimo, ma non possono proiettare sugli altri evangelici il fatto di avere “pregiudizi” gettando sugli altri la luce sinistra della ristrettezza mentale e spirituale. Inoltre, tutti pratichiamo varie forme di dialogo e intratteniamo amicizie a largo spettro coi cattolici. Loro possono legittimamente dire di “dialogare” con il papa o con altri cattolici, ma non possono dire che gli altri evangelici non dialogano e non hanno sentimenti di amicizia verso i cattolici. Contrariamente a quanto vuole farci credere il movimento ecumenico, dialogo non significa necessariamente pregare con la persona con cui si parla riconoscendola come fratello o sorella in Cristo. No: come Paolo lo ha praticato ad Atene (Atti 17), dialogo significa parlarsi, ascoltarsi e conversare. La preghiera non è un elemento costitutivo del dialogo e nemmeno la fraternità cristiana lo è. Per la Bibbia, si deve e si può dialogare con tutti, con i diversi e con i lontani.

Traettino e Iovino vorrebbero farci credere che solo pregando coi cattolici e riconoscendoli tutti come fratelli e sorelle si dialoga con loro? Non credo che arrivino a tanto, ma la direzione del loro discorso, almeno implicitamente, sì. Sicuramente, papa Francesco ed il cattolicesimo ecumenico intendono il “dialogo” come sinonimo di fraternità ritrovata e di preghiera comune. Questa accezione di dialogo va problematizzata dal punto di vista evangelico. Infatti, così come dialoga con loro, papa Francesco “dialoga” coi musulmani pregando con loro e chiamandoli “fratelli tutti”.[2] Non volendo mancare di rispetto al papa, il suo non è dialogo evangelico ma una forma di pan-religione universale e romanizzata che è contraria all’evangelo. E’ questo il dialogo a cui vorrebbe incoraggiare il libro? Considerare musulmani, induisti, atei, “fratelli tutti” e pregare con loro non si sa bene chi? Non credo, ma bisognerebbe essere più attenti a capire il senso delle parole e delle pratiche usate da papa Francesco e dall’ecumenismo cattolico e non accettarlo passivamente. Da evangelici, possiamo e dobbiamo dialogare con tutti e coltivare l’amicizia coi cattolici: ma questo non significa cambiare “giudizio” sul cattolicesimo in quanto sistema dogmatico-istituzional-devozionale che non è l’evangelo di Cristo. L’anti-cattolicesimo è l’altra faccia della testimonianza (pro-testare) a favore dell’evangelo.

2. Il riferimento a papa Francesco spinge ad affrontare la seconda grande questione che emerge dal libro. Come evangelici vogliamo sempre che sia la Parola di Dio a orientare i cambiamenti dei nostri “giudizi”, semmai essi debbano essere modificati. Questo è anche il desiderio del pastore Traettino e di Iovino. Traettino parla della “teologia dell’essenziale” come pista da seguire per l’unità (19). Papa Francesco ne dà una versione alquanto edulcorata, incentrata sull’amore (18-19), ma omettendo di dire che l’amore senza verità non è l’essenziale del cristianesimo. La teologia dell’essenziale risulta pertanto essere monca in partenza perché esclude uno dei poli essenziali che invece Paolo include quando dice di tenere insieme verità e amore (Efesini 4,15).

Più avanti, l’intervista ritorna sul tema della “teologia essenziale” a proposito della “gerarchia delle verità”. L’espressione non è evangelica, ma cattolica e porta con sé la concezione gerarchica della fede, tipica della visione cattolica. E’ triste vedere gli evangelici assumerla senza problematizzarla. In ogni caso, Traettino parla giustamente di vari livelli della verità cristiana: primario (testimoniato nei concili di Nicea e Costantinopoli), secondario, terziario (35). La comunione deve essere stabilita “su quello che è fondamentale”. Giusto. Ma siamo sicuri che il cattolicesimo sia saldamente stabilito su ciò che è biblicamente fondamentale? Quanto è fondamentale la mariologia anti-biblica per la fede e la pratica cattolica? Quanto è fondamentale la concezione sacramentale-istituzionale della chiesa? Quanto è fondamentale la sottomissione alla tradizione romana anche quando essa è contraria alla Scrittura? Quanto è fondamentale la più recente convinzione che siamo già “tutti fratelli”? Anche il richiamo formale ai credi trinitari della chiesa antica non è di per sé sufficiente a stabilire che ci atteniamo alle stesse verità fondamentali. Papa Francesco vuole farci credere che le nostre differenze siano “modi diversi di vivere una realtà sostanzialmente analoga” (24); Iovino sembra dire che le differenze tra cattolici ed evangelici sono “sfumature” (24). Ma queste affermazioni non sono grossolane e superficiali?

La partenza del discorso è già segnata da omissioni: senza la verità dell’evangelo, il riferimento all’amore di per sé è troppo generico e ambiguo per poter costituire la teologia dell’essenziale. Pensando all’unità cristiana, Traettino giustamente la riconduce ai “nati di nuovo” (22): loro sono fratelli e sorelle. Amen. Papa Francesco parla di unità, ma la fonda sul battesimo: “abbiamo tutti uno stesso battesimo” (24). Ovviamente, per Roma il sacramento del battesimo è la nuova nascita. Così, per il cattolicesimo, tutti i battezzati sono nati di nuovo! Traettino e il papa usano le stesse parole, ma intendono cose diverse. In un suo scritto inserito nel volume, il vescovo cattolico Andiry Bondarenko riassume bene il pensiero del papa: “Il papa ha detto: ‘Credo nella comunità dei battezzati’. Tutti i battezzati in Cristo formano una sola comunità” (172). Traettino parla dei nati di nuovo, il papa dei battezzati. Sono evidentemente due mondi diversi: il primo presuppone la fede personale in Gesù Cristo Signore e Salvatore, il secondo presuppone il sacramento della chiesa. Sembrano dire la stessa cosa essenziale, ma non è così. Questo gioco delle ambiguità è solo all’inizio.

Sul tema della riconciliazione, il papa racconta di come la sua educazione gli abbia infuso un’immagine malvagia di Lutero (32), ma poi sua nonna gli ha detto che i protestanti erano “persone buone” (23). Sembra che il suo atteggiamento nei confronti della Riforma sia stato “riconciliato” già da piccolo. Non è così. Il papa omette di dire che nel 1985 diede una serie di conferenze poi pubblicate nel libro nel 2013 e tradotte in italiano nel volumetto Chi sono i gesuiti, Bologna, EMI 2014. In questo libro parla di Lutero come “eretico” e di Calvino come “eretico e scismatico”. Per Bergoglio la Riforma è la radice di ogni tragedia che in Occidente si è tramutata in liberalismo, secolarizzazione, nichilismo, relativismo, totalitarismo … tutti i peggiori mali del mondo! Tutte affermazioni da cui Bergoglio non ha mai preso le distanze. Vero è che, da papa, Francesco ha dato una lettura “ecumenica” della Riforma protestante, ma nel suo vissuto, contrariamente a quanto richiama sentimentalmente Iovino (62), c’è molto di più di quello che dice nell’intervista sulle cose dettegli dalla nonna a proposito dei protestanti “buoni”. Papa Francesco ha una personalità più complessa e stratificata di quella lineare e bonaria che appare nell’intervista.

L’intervista poi vira sul tema della confessione. Il papa parla del “sacramento della confessione” (25) come qualcosa che lui pratica ordinariamente, anche se accentua l’aspetto relazionale (la confessione ad un fratello) più che quello sacramentale (l’ottenimento del perdono tramite l’assoluzione del confessore in forza del sacramento dell’ordine). Traettino parla giustamente della necessità della richiesta di perdono al fratello secondo quanto insegna la Scrittura, ma omette di dire che per il cattolicesimo la confessione non è solo questo. Per Roma, la confessione è sacramentale: ci si deve confessare ad un prete che opera “in persona Christi” e che impartisce l’assoluzione. Nella confessione cattolica c’è tutta la concezione sacramentale della chiesa che è lontanissima dalla confessione evangelica dei peccati gli uni agli altri. Anche qui, l’impressione è che gli intervistati stiano parlando della stessa cosa, ma solo se presa in modo molto superficiale e omissivo.

Una sezione dell’intervista riguarda il papato e l’infallibilità associata a certe modalità del suo esercizio. Iovino ritiene che questo sia il “punto più delicato” della discussione (42). Non sono sicuro che lo sia: piuttosto è solo uno dei modi in cui la diversità tra le fede evangelica e quella cattolica emerge con più chiarezza. Papa Francesco dice giustamente che secondo la concezione cattolica “il Signore ha voluto fondare su Pietro la Sua Chiesa” (43) e, nel farlo, ha stabilito la successione apostolica. Poi dice che, in realtà, è il popolo credente (cioè battezzato!) che è infallibile. In sostanza, c’è un riassunto della posizione cattolica che è lontanissima dall’evangelo. Purtroppo né Iovino né Traettino lo incalzano qui. Sulla Madonna il papa glissa (44), come se la mariologia cattolica non fosse stata eretta a dogma e non fosse un macigno che è stato costruito in contrasto con l’insegnamento biblico. Anche in questo caso, gli interlocutori evangelici tacciono.

Sulla Bibbia, Traettino dice giustamente che la Scrittura è “la sola Parola di Dio” (45) e che la teoria cattolica delle “due fonti” è al cuore della differenza tra gli evangelici e Roma. Giusto. Proprio da questa differenza fondamentale scaturiscono tutte le altre che non possono essere considerate mere “sfumature” o “ricchezze” dell’uno e dell’altro, ma vere e proprie direzioni diverse delle rispettive fedi. Se il fondamento è diverso, le risultanti lo sono altrettanto.

A cosa conduce tutto “il dialogo e l’amicizia” che papa Francesco vuole non soltanto con gli evangelici, ma anche con gli ortodossi, i musulmani, i buddisti, gli atei, ecc.? Nel libro è la testimonianza di Jacek Weigl, presidente della Fondazione Educare ai Valori, a esplicitarlo quando dice: “Abbiamo preso a cuore personalmente le parole del papa non di evangelizzare (fare proselitismo) il cristianesimo a vicenda, ma di servire insieme i poveri e pregare insieme finchè lo Spirito Santo non ci conduca alla comunione” (163). Ecco a cosa porta la sottolineatura che siamo “fratelli tutti”: a non evangelizzare i cattolici e i “battezzati” e a stigmatizzare ogni tentativo di testimonianza con l’etichetta derogatoria di “proselitismo”.

Nel mondo milioni di battezzati non sono nati nuovo e vanno evangelizzati. Alla domanda: “cosa devo fare per essere salvato?” (Atti 16,30-31), ieri il cattolicesimo rispondeva: “ricevi i sacramenti della chiesa che ti trasmettono la grazia divina”, oggi risponde: “siamo già tutti fratelli e sorelle e tutti ‘cristiani’ per il fatto di essere umani”.[3] Entrambe le risposte sono biblicamente fallaci e devianti. Questo è il problema del cattolicesimo: il suo impegno profondo non è radicato nella fedeltà al Dio trino della Parola, ma ad una versione ecclesiasticizzata e paganizzata dell’evangelo. In nome della fedeltà al Signore rivelato dalla Scrittura, l’evangelismo ha ritenuto e ritiene che il cattolicesimo sia un sistema di credenze e pratiche deviato e deviante con cui poter e dover dialogare senza astiosità e caricature, ma senza superficialità sentimentali o omissioni dottrinali. L’amore cristiano deve essere sempre agganciato alla verità dell’evangelo.

Una nota finale sulla bibliografia (179-182): è apprezzabile lo sforzo di indicare le fonti della riflessione che è sottesa al racconto del libro. Si tratta di libri di autori cattolici o protestanti storici e di qualche autore pentecostale sulla storia del movimento pentecostale, ma nessun titolo sulla lettura evangelica del cattolicesimo che peraltro si vuole criticare. Un’osservazione simile si addice ai tre documenti del dialogo tra cattolici e protestanti richiamati a p. 54: nessuno dei tre è rappresentativo del mondo evangelico, semmai del mondo protestante liberale ed ecumenico. Curiosamente, dunque, pur parlando il libro del dialogo tra cattolici ed evangelici e contenendo commenti negativi nei confronti dei “pregiudizi” evangelici, di fatto non si fa riferimento ad una minima bibliografia evangelica sul cattolicesimo che indichi dove trovare questi “pregiudizi” inveterati.[4] Siamo sicuri, allora, che i “pregiudizi” non siano da ricercare altrove?


[1] Per una panoramica storica, cfr. Pietro Bolognesi, “A History of the Relationship of the Evangelical Alliance with the Roman Catholic Church”, Evangelical Review of Theology 32/3 (2008) pp. 214-223. Si vedano i documenti "Una prospettiva evangelica sul cattolicesimo romano" (1986) in Dichiarazioni evangeliche. Il movimento evangelicale 1966-1996, a cura di P. Bolognesi, Bologna, EDB 1997, e “Orientamenti evangelici per pensare il cattolicesimo”, Ideaitalia III:5 (1999) 7-8; anche in Comunicazioni cristiane XI (1999/12) 13-14 [francese: “Le catholicisme romain: une approche évangélique”, Vivre 8-9 (2000) 10-14 e Fac-Réflexion 51-52 (2000/2-3) 44-49; tedesco: “Ein Evangelikaler Ansatz zum Verständnis des Römischen Katholizismus”, Freie Theologische Akademie, 2000 e Bibel Info 59/3 (2001) 10-13; inglese: “An Evangelical Approach Towards Understanding Roman Catholicism”Evangelicals Now, Dec 2000, 12-13; European Journal of Theology X (2001/1) 32-35]. Inoltre, l’Alleanza evangelica ha promosso dialoghi con la chiesa cattolica e alcuni materiali di studio sono stati pubblicati. Anche il documento “Evangelici italiani sul cattolicesimo romano” (2014) che Iovino descrive, peraltro senza citarlo, come eccessivo e frettoloso (175) è perfettamente in linea con la secolare e diffusa lettura evangelica del cattolicesimo.

[2] Dal titolo dell’enciclica “Fratelli tutti” (3/10/2020) in cui papa Francesco vuole risemantizzare il vocabolario della fraternità estendendolo a tutta l’umanità e facendola seguire da una preghiera comune al Creatore (senza riferimenti a Cristo) in modo che possa essere condivisa coi musulmani.

[3] Basta leggere l’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” (24/11/2013) in cui papa Francesco sostiene che gli altri cristiani sono già uniti ai cattolici tramite il battesimo e a loro non è chiesta conversione (244). Gli ebrei sono sotto un’alleanza “mai revocata” e quindi non devono convertirsi (247). I musulmani adorano lo stesso unico e misericordioso Dio (252) e non è chiesto loro altro, se non riconoscere la libertà religiosa. Gli altri non cristiani sono “giustificati mediante la grazia di Dio” (254) anche senza un’esplicita professione di fede in Gesù Cristo. Il “vangelo” di cui parla il titolo non è un messaggio di salvezza dal giusto giudizio di Dio, ma l’accesso ad una più profonda, più piena, più gioiosa salvezza che è già data a tutta l’umanità. La “missione” di cui parla Papa Francesco è, allora, la volontà di estendere a tutti la pienezza della grazia ad un mondo già graziato.

[4] Solo qualche titolo esemplificativo: Emilio Comba, Cristianesimo e cattolicesimo romano, Torre Pellice, Claudiana 1951, 19812; C.F. Dreyer-E. Werner, Il cattolicesimo romano alla luce delle Scritture, Roma, Uceb 1962; Jacques Blocher, La chiesa romana allo specchio, Napoli, Centro biblico 1971, rev. 1990; R. Nisbet, Ma il Vangelo non dice così, Torino, Claudiana 1969, 199316; Edoardo Labanchi, Il cattolicesimo romano alla luce della Parola di Dio, Grosseto, Chiesa Apostolica in Italia 1987; James G. McCarthy, Il vangelo secondo Roma. Una comparazione tra tradizione cattolica e Parola di Dio, Città di Castello (PG), Nuova Uceb 2018; L. De Chirico, Stesse parole, mondi diversi. I cattolici e gli evangelici credono allo stesso vangelo?, Caltanissetta, Alfa&Omega 2022.


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