Discepolato, senza la mente è impossibile
Dominus illuminatio mea è il motto della Università di Oxford. Riprende l’incipit del Salmo 27: “Il Signore è mia luce”. Utilizzato fin dalla seconda metà del XVI secolo, il motto è una rappresentazione della pratica intellettuale incoraggiata nel tempo dalla fede cristiana[1]. La luce è spesso stata utilizzata in analogia alla verità, e se Dio è la luce allora può illuminare ogni scenario e, allo stesso tempo, dare la capacità di vedere. Senza luce, infatti, non possiamo vedere. Si tratta quindi di un implicito riconoscimento di Gesù Cristo quale sostenitore dell’universo intero: la luce del mondo, la Parola di Dio, li pane della vita, il figlio di Dio, il figlio dell’uomo, l’unico salvatore. Egli è il fondamento di ogni conoscenza (Gv 1,2-3; Col 1,15-16; Eb 1,2.).
Non esiste nessuna sfera dell’esistenza sulla quale Gesù non eserciti la sua sovranità[2]. Non può esserci nessun dualismo tra ambiti in cui Egli governa e altri in cui non lo fa. Non esiste nessuna neutralità possibile. Ogni centimetro quadrato, ogni microsecondo è reclamato da Dio e conteso da Satana. Dunque, per dirla con Herman Bavinck[3] si tratta di “seguire tutto Cristo in tutta la vita”. Nulla che riguardi Gesù può essere tralasciato e la sua rilevanza non può limitarsi alla vita privata. In politica, nell’arte, nella scienza, nell’impegno culturale in generale, il discepolo deve vivere come figlio di Dio e seguace di Cristo.
In uno dei suoi lavori principali sul discepolato, Bavinck analizza cinque modelli di discepolato, tre rappresentano una costante storica e due si caratterizzano per una prospettiva maggiormente moderna. I cinque modelli sono: a) il martire, b) il monaco, c) il mistico, d) il letteralista, ed infine e) il razionalista. I primi tre, di fatto, amplificano un solo aspetto del messaggio del Vangelo a scapito di altri. Inoltre, formano un cluster gerarchico implicito tra discepoli straordinari e discepoli ordinari, imponendo ideali irrealistici e insostenibili per i credenti.
Il letteralista, poi, cerca di riprodurre la mimica percepita delle parole e delle azioni di Gesù nel mondo contemporaneo. Però lo fa spesso senza discernimento teologico e nessuna creatività su come applicare l’insegnamento di Gesù in una realtà dinamica e complessa come la nostra. Se il letteralista manca di creatività, il razionalista manca di coraggio. Il razionalista, infatti, trova l’insegnamento biblico troppo radicale ed estremo per le sensibilità occidentali e, conseguentemente, nel tentativo di “adattarlo” cerca di smussare diversi presunti spigoli della fede cristiana.
Il cristiano contemporaneo, però, che vuole seguire tutto Cristo, deve realizzare che la sfida del Vangelo non può essere sintetizzata in una sola sentenza o formula. Il bilanciamento è necessario, e la prospettiva deve essere sistemica. Occorre cioè apprezzare i molteplici aspetti del messaggio del Nuovo Testamento che si sostengono vicendevolmente e accrescono la nostra conoscenza[4].
(tratto da Giuseppe Rizza, “La sfida del discepolato della mente. Intersezioni tra cristianesimo e cultura”, Studi di teologia N. 64 (2020). Per acquistare il fascicolo di Studi di teologia puoi rivolgerti a ifed@libero.it o alla tua libreria evangelica preferita)
[1]Si veda anche A. E. McGrath, "The Lord Is My Light: On the Discipleship of the Mind", Evangelical Quarterly 83 (2011) pp. 133-45.
[2] A. Kuyper, Lezioni sul calvinismo, Caltanissetta, Alfa & Omega 2020 (orig. 1899). Si veda anche il n. 63 di Studi di teologia (2020) dedicato a Kuyper.
[3] Si veda J. Bolt, The Imitation of Christ Theme in the Cultural Ethical Ideal of Herman Bavinck, Toronto, University of S. Michael College 1982.
[4] H. Bavinck, Reformed Dogmatics, vol. 3, Grand Rapids, Baker 2008, p. 384.