Il business può glorificare Dio?

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In ambito cristiano, concetti come profitto, business, denaro assumono spesso connotazioni morali negative. Business per la gloria di Dio di Wayne Grudem sfida questo pregiudizio sostenendo che anche il mondo degli affari è parte del piano di Dio per la sua gloria e per il nostro bene. La riflessione di Grudem parte dal cardine della dottrina biblica per cui l’uomo creato a immagine di Dio è chiamato a imitarlo e a riflettere i suoi meravigliosi attributi nella sua vita. 

L’autore affronta le singole sfaccettature che compongono il mondo degli affari, mostrando come ciascuna di esse rifletta gli attributi di Dio e rappresenti un’opportunità per imparare ad imitare la sua perfetta saggezza, conoscenza, e amore per gli altri, per riconoscere la sua bellezza, gentilezza e lealtà, per vivere la vera indipendenza, libertà e gioia, per esercitare in modo sano la creatività, la volontà e così via. Il modo in cui Dio esercita la sovranità assoluta sull'intero universo è il modello per rapportarsi alla proprietà dei beni praticando responsabilmente la nostra autorità su una minuscola porzione dell'universo, sottraendola alle distorsioni e alle tentazioni causate dal peccato. 

Anche la produttività riflette il carattere e la natura di Dio, che esercita la propria saggezza, conoscenza, abilità, forza e creatività al servizio del bene: Dio ci ha creati “produttivi” per “rendere le risorse della terra utili a noi stessi e agli altri”, invece di ripiegarci sula ricerca delle cose materiali per il piacere delle cose stesse. 

Possiamo glorificare Dio nelle nostre relazioni tra datore di lavoro e dipendente rifacendoci al modello della relazione eterna tra il Padre e il Figlio nella Trinità, agli antipodi dell’esercizio improprio dell'autorità che spesso caratterizza gli ambienti di lavoro e che si traduce in forme di sfruttamento, mancato riconoscimento dei diritti o del giusto compenso da parte del datore di lavoro, così come si manifesta nella pigrizia e nella disonestà da parte del dipendente.

Avidità, egoismo e inganno sono espressioni del peccato che caratterizzano i rapporti di compravendita, ma anche le transazioni commerciali possono trasformarsi in un meccanismo per il bene reciproco, un mezzo per amare il nostro prossimo come noi stessi, se sono regolate da onestà, fedeltà agli impegni, e correttezza che riflettono l'interdipendenza e l'amore che caratterizza le persone della Trinità. Attraverso l'ottenimento di profitti, possiamo fare un uso buono ed efficiente delle risorse della terra esercitando un sano dominio su di esse, portando benefici a tutta la comunità, manifestando l’amore per gli altri. 

Il denaro presenta costanti tentazioni a peccare e può distogliere il nostro cuore da Dio. Il denaro può invece essere un mezzo per investire ed espandere la nostra gestione ed amministrazione imitando l'indipendenza di Dio, donando generosamente, riflettendo la sua misericordia e la sua generosità. Anche lo strumento del prestito, strettamente correlato all'uso del denaro, può essere praticato in modo sano contribuendo a moltiplicare l'utilità del denaro, a godere della creazione materiale di Dio e quindi ad aumentare le nostre opportunità di essere grati per queste cose. Possiamo mostrare l'affidabilità di Dio, la sua onestà e saggezza, mentre prendiamo e concediamo prestiti.

Grudem non si sottrae dall’affrontare un altro tema scottante come quello della disuguaglianza. Dio ha affidato in modo diverso (non uguale) l'amministrazione a varie persone, diverse in quanto a capacità e impegno. Le disuguaglianze sono in un certo senso necessarie in un mondo che impone una grande varietà di compiti da dover eseguire e sono retribuite in modo proporzionale. L’autore riconosce l’esistenza di sistemi malvagi e opprimenti che sfruttano e ingessano le disuguaglianze. Anche la competizione fornisce molte opportunità per glorificare Dio e manifestare le capacità che Egli ha concesso all’uomo. La concorrenza consente ad ogni persona di trovare un ruolo specifico in cui dare il proprio contributo positivo alla società. Competere significa eseguire un lavoro meglio degli altri, ed è ben diverso dall’essere tentati di sopraffare l’altro per nuocergli e impedirgli di guadagnarsi da vivere, o dal privarsi del riposo, del tempo con la propria famiglia e con Dio. Non sempre Grudem sembra essere consapevoli che non tutti sono prestanti e competitivi allo stesso modo e che la competizione possa diventare un idolo. 

Tutti i suoi spunti sono opportuni stimoli ma anche limitati dal punto di vista biblico. Il discorso sul business è fatto a partire dalla creazione buona di Dio e di come avrebbe dovuto funzionare. Bene. Il problema, tuttavia, è che dopo la creazione c’è stato il peccato e quindi tutto il quadro è stato sconvolto in modo radicale dalla rottura dell’alleanza. L’impresa è un mondo sottosopra per chi la abita e la pratica. Gli imprenditori sono peccatori, il sistema dell’impresa è malato, le banche sono ingiuste, le disparità nelle retribuzioni sono enormi, ecc. L’impressione che si ricava dalla riflessione di Grudem è che sia troppo idealista e superficiale rispetto alla realtà della creazione decaduta. Oltre alla prospettiva della creazione, bisogna prendere in carico le conseguenze del peccato per avere un quadro realistico del business e per apprezzare le implicazioni della redenzione di Gesù Cristo nel mondo dell’impresa. Grudem è forte sulla creazione, ma debole nella penetrazione delle criticità strutturali del business e quindi anche la sua prospettiva riformatrice è fumosa. Talvolta Grudem ha la tendenza a appiattire il suo discorso alla difesa di un sistema economico che assomiglia molto al capitalismo americano. Ma è questa la prospettiva biblica? Il capitalismo non rischia di avere i suoi idoli quali il culto dell’individuo, l’accettazione passiva di gravi ingiustizie, le diversità trasformate in inique e strutturali disuguaglianze? Non è anche il capitalismo – nelle sue forme storiche e contemporanee – un sistema da riformare?

La conclusione conferma i pregi e i limiti della riflessione di Grudem. Secondo lui il centro del fare impresa è l’atteggiamento del cuore, che Dio conosce a fondo. Se vogliamo glorificare Dio nel business dobbiamo agire avendo un atteggiamento del cuore in cui Egli si diletti. Ma non è questa una lettura riduttiva? Se noi nasciamo in un mondo strutturalmente ingiusto e malvagiamente diseguale, perché il peccato l’ha resto tale, basta l’atteggiamento del cuore per sperare in una riforma? Sicuramente l’atteggiamento del cuore è necessario, ma non è altresì necessaria una spinta riformatrice sulle leggi sul lavoro, sugli accordi commerciali, sui patti sindacali, sulle condizioni bancarie, sulla regolazione del credito, sull’amministrazione della giustizia, ecc.? Insieme all’atteggiamento del cuore, la visione biblica incoraggia ad avere uno sguardo di sistema e a sviluppare una cultura rinnovata del business. Ancora una volta, l’impressione è che il “capitalismo compassionevole” fornisca il modello di riferimento a cui tutto e tutti devono adeguarsi. Forse bisogna spingersi più in là.