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Eric Liddell (1902-1945) e i veri momenti di gloria

Le Olimpiadi 2024 sono iniziate! Un piccolo esercizio di memoria può aiutare ad assistere all’evento sportivo oltre l’attualità parigina. Esattamente cento anni fa, infatti, i giochi olimpici si tennero proprio nella capitale francese e, di quella edizione, a restare nella memoria collettiva è stato il record dei 47"6 nei 400 metri di corsa ottenuto da Eric Liddell (1902-1945), atleta e poi missionario in Cina.

Non mi intendo di sport, ma guardando per curiosità ai record attuali di questa stessa disciplina, le statistiche parlano di tempi di vittoria intorno ai 43 secondi. Come succede per tutti gli atleti, i tempi di Liddell che all’epoca furono considerati da record, oggi sono ampiamente superati e non ci sarebbe motivo di celebrare un tale anniversario. 

Eppure, l’atleta scozzese ancora oggi continua ad ispirare nuove generazioni di sportivi e artisti che a lui hanno dedicato film da Oscar (Momenti di gloria, 1982; Sulle ali delle aquile, 2006) e diversi libri.  

Cosa c’era di diverso in quel record? Per il giornalista sportivo Valerio Piccioni, che ha scritto un articolo sul Domani dedicato a Liddell, è chiaro che la memorabilità di quell’evento sta nel fatto che per l’atleta scozzese lo sport non fosse un’isola staccata dagli altri valori della vita. 

Leggendo quello che lo riguarda, si evince che è proprio così e che, essendo temprato per vincere una corona incorruttibile, riuscì a vincerne anche di corruttibili (1 Corinzi 9,25) con onore. Il fondamento della sua vita fu la sua incrollabile fede che ne direzionò tutte le scelte da atleta e da missionario, fino a determinarne anche la morte.

Eric Liddell era un atleta di origini scozzesi nato però in Cina nel 1902 dove i suoi genitori erano missionari della chiesa congregazionalista. Trasferitosi per i suoi studi in Scozia, il suo talento per lo sport venne subito a galla e nel 1924 venne convocato dalla federazione inglese di atletica per partecipare alle Olimpiadi di Parigi. Fu convocato per i 100 metri di corsa, disciplina in cui eccelleva e per la quale si era molto allenato, ma saputo che la gara si sarebbe svolta di domenica, si rifiutò di partecipare. Liddell voleva continuare a celebrare il giorno del Signore; la fama, la possibilità di vincere e le critiche per il suo rifiuto non gli fecero cambiare idea. Così, improvvisando, si allenò in poco tempo per gareggiare nei 400 metri, che si sarebbero tenuti in altri giorni della settimana. Del tutto inaspettatamente, non solo vinse, ma sbaragliò i suoi avversari e stabilì un record. 

La sua fama di atleta raggiunse l’apice con quella vittoria. Nonostante ciò, decise di non restare sotto i riflettori dei circoli sportivi inglesi, ma di partire per la Cina come missionario. Lì utilizzò le sue capacità atletiche anche come mezzo evangelistico. Intanto la situazione politica cinese si stava deteriorando e, nel 1941, sua moglie, una missionaria di origine canadesi e i loro figli, rientrarono in Canada. Liddell non volendo abbandonare il campo di missione, fu imprigionato dai giapponesi in un campo di lavoro. Fu una prigionia ardua, ma che Liddell, secondo le diverse testimonianze, visse con fede e speranza. Nei campi insegnò ai bambini diversi sport e senza moralismi o rigidità di sorta disputò partite nei campi anche di domenica! 

Eric Liddell morì nel 1945 dopo terribili sofferenze. Ha ricevuto il privilegio di essere sepolto nel Mausoleo dei Martiri di Shijiazhuang, cosa non comune per un non cinese. 

Come già detto, a ricordarlo oggi sono in molti e, comunque si decida di raccontare la sua storia, la sua fede resta l’elemento centrarle del racconto. In effetti per Liddell, lo sport non è stato il valore assoluto della sua vita, non lo ha vissuto in maniera totalizzante e scollegato, ma come uno dei campi in cui servire il Signore. Con la fede al centro ha potuto essere un acclamato sportivo, un insegnante, un missionario senza che la sua stessa fama o i suoi record diventassero idoli assoluti o l’identità a cui aggrapparsi. 

Ricordare le sue vittorie un secolo dopo è un modo per augurarci che nelle imprese grandi o piccole di ogni persona credente, il segno della fede viva e vera in Cristo sia visibile, riconoscibile, inconfondibile e attraente. I momenti di gloria passano ma la parola di Dio rimane.


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