Evangelici in Gran Bretagna tra aria di crisi e voci di speranza
Se Atene piange, Sparta non ride. Fuor di metafora, se l’evangelicalismo USA vive una stagione di conflitti interni e di crisi montante, non è che sull’altra sponda dell’Atlantico (cioè in Gran Bretagna) le cose vadano meglio. Ovviamente le situazioni non sono comparabili, ma a nessun osservatore che non sia distratto può sfuggire che vi sono dei parallelismi preoccupanti. Della condizione dell’evangelicalismo in Gran Bretagna alla luce dei recenti scandali ne parlano alcuni articoli di personalità evangeliche pubblicati su Evangelicals Now (maggio 2022). Tra queste Garry Williams, professore di teologia storica al London Seminary, e Jonathan Lamb, vice-presidente dell’IFES (International Fellowship of Evangelical Students).
Gli ultimi anni sono stati funestati anche nella Gran Bretagna evangelicale da casi di abuso a sfondo sessuale da parte di pastori e conduttori di chiese e dallo svelamento di casi di relazioni pastorali abusive. Evangelicals Now e altre testate evangeliche hanno dato conto di investigazioni interne alle chiese e anche di altre affidate ad agenzie specializzate che hanno portato alla luce questo marciume e che ha gettato una luce sinistra sul piccolo, ma non così insignificante mondo evangelico britannico. Solo per avere un’idea grossolana, si calcola che gli evangelicali in Gran Bretagna siano il 3% della popolazione.
Sembrava che il mondo evangelico fosse in qualche modo estraneo al fenomeno degli abusi che sta emergendo con forza all’interno della chiesa cattolica romana in molte regioni, ma i fatti smentiscono questa percezione di illibatezza. I casi emersi sono stati relativamente pochi, ma comunque odiosi. Anche nell’evangelicalismo troppo spesso è esistito un brodo di coltura omertoso, opaco e torbido dove l’abuso ha potuto proliferare.
Che fare? Intanto fare i conti con la realtà e intervenire con strumenti adeguati. Williams sostiene che questi scandali sono un’occasione per la chiesa evangelica di riscoprire il “potere delle chiavi”, cioè l’applicazione della disciplina da parte della chiesa. Gli aspetti penali vanno affrontati nelle opportune sedi, ma la chiesa deve riscoprire la sua responsabilità di essere una comunità sicura per tutti e protetta dagli approfittatori, a tutti i livelli essi si nascondino. Quando accadono abusi, al di là delle responsabilità personali delle persone coinvolte, qualcosa più in generale è andato storto: c’è chi non ha visto o non ha voluto vedere, ci sono procedure che non hanno funzionato, si è creato un clima che ha favorito l’impunità. Il “potere delle chiavi” è una delle misure ordinarie che la chiesa ha a disposizione per reprimere gli abusi, sostenere le vittime e fare ordine al proprio interno.
Nel suo intervento, Lamb guarda al futuro dell’evangelicalismo britannico. Secondo lui, la crisi attuale va affrontata rinsaldando la lealtà combinandola all’integrità, vivendo l’unità evangelica in una modalità contrassegnata da umiltà e maturità. Il discorso è un po’ generico e troppo “alto” per essere concreto. Di buono c’è il richiamo a tutti gli evangelici smarriti e perplessi a ritrovarsi in chiese fedeli e negli organismi sufficientemente sani come, ad esempio, l’Alleanza evangelica.
In questo tempo di crisi, Williams lamenta la mancanza di leader del passato del calibro di John Stott o Martyn Lloyd-Jones che avevano saputo compattare il mondo evangelico offrendo modelli credibili e autorevoli. D’altronde, non è sicuro che l’assenza di figure “paterne” sia la soluzione sempre e comunque.
L’impressione è che, dopo lo svelamento dei casi di abuso, la lettura “spirituale” della situazione sia ancora in corso e bisognosa di ulteriori approfondimenti. Oltre ad essere momenti di sbandamento, le crisi possono essere produttive di cambiamenti necessari. Di qua e di là dall’Atlantico, non sono momenti semplici per il movimento evangelicale.