Famiglie palestre di discepolato (III). Single ma non soli

 
 

Un tempo si diceva celibato e nubilato. Oggi si sente parlare di essere “single” e quindi dello stato di singolarità. Nella società contemporanea sono sempre più i giovani e non più giovani che vivono in questa condizione e la chiesa evangelica non è sempre attrezzata per capire, aiutare e discepolare queste persone. 


Dopo le sessioni sulle reti delle famiglie su noi in quanto figli, il modulo “Famiglia palestre di discepolato” delle chiese Brecce di Roma ha trattato anche il tema della singolarità come vocazione inserita dentro la trama del discepolato cristiano.  


Come vivere le sfide del nubilato/celibato? I single sono veramente soli? Bisogna sgombrare il terreno da due possibili equivoci. 

1. Ritenere la singolarità una condizione incompiuta. Se così viene vissuta, la vita va avanti stancamente e senza grande impegno di trovare tempi e modi per diventare “adulti”, come se l’essere single fosse un impedimento a vivere una vita pienamente coinvolta nel servizio, nella società, nella chiesa. La singolarità vissuta come condizione incompiuta genera passività, attendismo, aspettative di vita al ribasso. 


2. All’opposto la condizione di nubilato/celibato viene sopravvalutata. Ad esempio, il cattolicesimo vede la condizione dei non sposati come parametro di santità superiore, mentre il matrimonio sarebbe solo una “necessità”. Oppure, una prolungata singolarità può essere vissuta come “giustificazione” per una vita doppia per salvaguardare l’autonomia individuale. È il caso, per esempio, di chi ha relazioni fluide, senza legami caratterizzati da impegno o fedeltà. O ancora, la singolarità è vista come condizione di realizzazione di sé. 


La Bibbia non parla di “singoli”: parla di celibato e nubilato, cioè persone non sposate e il passo biblico da tenere presente è Matteo 19. Ci sono diverse ragioni per cui un uomo o una donna possono trovarsi in una condizione di singolarità: per scelta, per fattori esterni (morte, divorzi, impedimenti) e interni (paure di affrontare la sfida del matrimonio) e fattori che non dipendono dalle scelte della persona. 


Anche se nella società giudaica l’essere single era insolito, affermando la condizione di singolarità come un dono, Gesù ridà dignità a tutte le persone qualunque sia la loro condizione. Per Gesù, essere sigle è un dono che non è dato a tutti (Matteo 19,11). Gesù sgancia la singolarità da una comprensione mondana e le ridà dignità considerandola un dono, un’opportunità. Più avanti anche l’apostolo Paolo dice qualcosa sull’essere single, precisamente in 1 Corinzi 7,32-35. Se per Gesù l’essere single è una condizione dignitosa, per Paolo è addirittura da preferire. 

La singolarità diventa una benedizione per sé e per gli altri. Per sé perché ci si può dedicare alla formazione e alla crescita personale; per gli altri perché si può investire nelle relazioni e nel servizio.

 
La singolarità ha una propria dignità: un esempio è Paolo. L’idolatria di Atene, il disordine di Corinto, la multiculturalità di Roma sono sfidate dalla dignità nell’essere cristiano. La sua identità lo qualifica, la sua condizione è dignitosa perché è in Cristo. Altro esempio è Elia. Lo scoraggiamento e la “solitudine” sperimentata non solo sono guariti dallo Spirito Santo e dalla guida della sua parola (1 Re 19,11-15), ma sono arricchiti da un’amicizia di un uomo fedele, che è Eliseo (1 Re 19,19-21). È importante anche dire che la singolarità non è una condizione che non può essere cambiata anche in età avanzata. Isacco conobbe sua moglie in un’età insolita. Considerare la tensione tra il “già” e il “non ancora” ci educa a praticare la speranza e ad aprirsi alla volontà di Dio. 


Come appartenenti alla famiglia della chiesa, non siamo principalmente un marito o una moglie oppure un non marito e una non moglie. Siamo coeredi di Cristo, figli/e che sono stati adottati nella stessa famiglia di Dio. Essere single o sposati passa in secondo piano rispetto alla magnifica realtà per cui Gesù ha pregato in Giovanni 17,21: che siano tutti uno


In un mondo che sminuisce o esalta la singolarità, (due facce della stessa deformazione) il ruolo delle chiese evangeliche è di essere luoghi di rifugio che equipaggiano a vivere la singolarità, che abbiano reti di protezione e rendicontazione in cui i single non sono lasciati a loro stessi. Le chiese possono essere luogo ospitali che aiutano a far fiorire doni e sensibilità e ad incoraggiare le diverse vocazioni.  


Gesù dice di cercare prima il regno di Dio: Cercate prima il regno e la giustizia di Dio e tutte queste cose vi saranno date in più (Matteo 6,33). Egli suggerisce un tipo di fecondità molto diverso: la vita, che sia vissuta da single o da sposati, più che essere incentrata sulla ricerca di un coniuge o sul matrimonio o sull’autonomia dagli altri, dev’essere incentrata sulla ricerca del regno di Cristo. Solo questa prospettiva può salvare il celibato/nubilato dall’essere incompiuto o sopravvalutato.


Della stessa serie:
“Famiglie palestre di discepolato (I). Se non nelle famiglie dove?” (29/10/2024)
“Famiglie palestre di discepolato (II). Noi in quanto figli” (4/11/2024)