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Guerra in Ucraina, ferita mortale per il movimento ecumenico?

Volano stracci tra Roma (sponda vaticana) e Mosca (sede del Patriarcato). La guerra in Ucraina ha incrinato le relazioni tra due importanti soggetti del movimento ecumenico. Dopo tentativi di dialogo per stabilire ponti con la Russia religiosa, papa Francesco ha sostanzialmente detto che Kirill è allineato alla politica neo-imperialista di Putin e Kirill, per parte sua, ha risposto che questi toni impediscono il dialogo e ha rispedito la critica al mittente. Fuor dai denti, uno ha schiaffeggiato e l’altro ha risposto con un pugno. L’evangelico porgere l’altra guancia sarà per un’altra volta. Per ora viene applicata la legge del taglione.

Anche tra Ginevra (sponda Consiglio Ecumenico delle Chiese) e Mosca, nonostante sia maggio e sia iniziata la stagione primaverile, è calato un inverno siberiano nelle relazioni tra i due organismi. Addirittura, voci autorevoli del CEC hanno chiesto l’espulsione del Patriarcato di Mosca dal Consiglio (di cui è parte). La tragica ironia è che un Consiglio che si definisce “ecumenico” (inclusivo, plurale, differenziato) arrivi ad immaginare la fuoriuscita di una chiesa (e che chiesa!) importante.

Se le relazioni Roma-Mosca e Ginevra-Mosca sono ai minimi termini, che dire di quelle tra la chiesa ortodossa di Kyev (dichiaratasi autocefala e passata sotto il patriarcato di Costantinopoli, “nemico” di quello di Mosca) e quella di Mosca? Entrambe chiese ortodosse e, sulla carta, unite nella fede e nei sacramenti, ma in realtà schierate su fronti contrapposti che poi sono quelli politici-militari dei loro governi! Questo è un conflitto intra-ortodosso che è deflagrato nella forma più terribile: il sostegno delle istituzioni ecclesiastiche alla politica di guerra dei Paesi.

Da qualunque parte la si guardi, la geografia del movimento ecumenico che esce dalla guerra in Ucraina esce profondamente sconvolta e ferita. Per decenni, il movimento ecumenico ha usato il linguaggio della fraternità e sororità, della comunione, del riconoscimento, dell’unità … con infiniti dialoghi, convegni, preghiere, studi, incontri, iniziative, ecc. Tutto all’insegna della diversità riconciliata, dell’unità nella diversità, della conciliarità. La drammatica guerra in Ucraina ha mostrato quanto quelle parole siano deboli, fragili e ora rotte. La guerra ha messo in evidenza che la diplomazia ecumenica degli ultimi decenni è una scatola vuota che alla prova dei fatti è implosa. 

Cosa vuol dire la tanto sbandierata unità dei battezzati quando gli stessi fanno a cazzotti tra loro e in alcuni casi si uccidono? Cosa vuol dire la diplomazia ecumicamente corretta di tanti documenti quando le chiese che li hanno sottoscritti si mandano a qual paese? L’unità del movimento ecumenico esce infranta dalla guerra. 

Il problema non è solo politico, ma teologico. Sono i fondamenti teologici del movimento ecumenico sintetizzati, ad esempio, nel documento “Battesimo, Eucarestia, Ministero” (BEM) del 1982, che stanno mostrando la loro inconsistenza. L’unità basata sul battesimo di persone che non sono credenti non è l’unità cristiana. L’ecumenismo in cui tutti rimangono dove sono senza riformarsi secondo l’evangelo è un gioco di società che non produce frutti duraturi. Senza conversione a Gesù Cristo, l’ecumenismo è una prassi temporanea di buon vicinato che non modifica i cuori.

Con la nascita dell’Alleanza evangelica a Londra nel 1846, gli evangelici hanno “inventato” il movimento ecumenico contemporaneo e continuano ad essere un’importante famiglia cristiana che esprime l’unità tra i credenti in Gesù Cristo secondo l’evangelo biblico e in modo trasversale rispetto alle denominazioni e alle appartenenze nazionali. Per questo principio teologico, gli evangelici non hanno aderito al Consiglio Ecumenico delle Chiese nel 1948 (di cui il Patriarcato di Mosca è parte) e non hanno aderito alle richieste di riconciliazione spirituale con Roma. Questi ultimi due progetti (unità del CEC e unità del cattolicesimo) sono basati su una base teologica sbagliata e di cui la guerra in corso sta mostrando tutta la fragilità.

L’unità cristiana non è un progetto politico, ma è l’unione di tutti i credenti che, grazie a Gesù Cristo, sono uniti al Padre nello Spirito Santo e, essendo uniti all’Iddio trino, sono uniti tra loro. Altri progetti di unità, per quanto ammantati dall’aggettivo “ecumenico”, prima o poi mostreranno tutta la loro inconsistenza, come la tragica guerra in corso sta mettendo in evidenza.


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