Identità evangelica in Europa (III). Il mosaico evangelico europeo

 
 

Gli evangelici sono uniti o sono diversi? Quanto sono uniti e quanto sono diversi? In che cosa sono uniti e in che cosa sono diversi? Quanto la loro unità è uniformità/omogeneità e quanto la loro diversità è divisione/conflittualità? Queste domande sono risuonate nelle molteplici relazioni e discussioni ascoltate alla conferenza dell’associazione dei teologi evangelici europei (FEET) che si è tenuta a Praga dal 23 al 27 agosto sul tema “L’identità evangelica in Europa oggi: unità nella diversità”.

Ad un osservatore cattolico o ortodosso, l’evangelicalismo appare diviso in mille chiese e raggruppamenti; agli evangelici, questa diversità non appare necessariamente come sinonimo di divisione quanto espressione di una diversità organica (e salutare?) alla fede evangelica. Una sessione della conferenza è stata dedicata ad uno sguardo sociologico sull’evangelicalismo europeo; quattro relazioni si sono concentrate sulle macroaree dell’Europa meridionale, centro-orientale, occidentale e nordica. 

Per l’Europa meridionale, il sociologo francese Sébastian Fath ha tracciato un profilo del movimento evangelico in questa macroregione. Ha messo in evidenza tre tratti comuni: 1. il dover fare i conti con lo “stigma” sociale e culturale di essere una minoranza in Paesi a maggioranza cattolica e da diversi decenni in processi di secolarizzazione. Essere evangelico comporta non essere dalla parte degli stakeholders sociali; 2. L’interpretare una fede conversionista in culture in cui la religione è stata tramandata per via di pratiche tradizionali. La novità evangelica porta una radicalità che cozza con l’assetto culturale prevalente. Ciò emerge con forza quando nel discorso pubblico la destra politica parla di “cristianesimo tradizionale”: in quanto conversionisti, gli evangelici non sono “tradizionali”; 3. il dover far fronte alle sfide di comunità sociologicamente piccole e limitate che possono diventare asfissianti, talvolta tossiche. 

Nell’esaminare le prospettive future, Fath ha citato il prof. Pietro Bolognesi che ha indicato tre piste che gli evangelici devono tenere presente nella loro testimonianza: l’identità evangelica, l’unità evangelica e la scolarità evangelica. Queste sfide ben si applicano a tutta la regione. Secondo Fath, gli evangelici hanno la possibilità di diventare dei “laboratori di speranza” in un continente in calo demografico e in remissione culturale. Ha citato come esempi di tale prospettiva il processo unitario degli evangelici francese sotto l’egida del CNEF (Consiglio nazionale degli evangelici di Francia) che riunisce il 70% dei protestanti francesi (comprese le Assemblee di Dio, battisti, fratelli, pentecostali liberi, ecc.) e il magazine evangelicalfocus.com che, dalla Spagna evangelica, porta una prospettiva evangelica sui fatti europei e mondiali.

A proposito dell’Europa del nord, il sociologo svedese Per Ewert ha mostrato come la chiesa luterana liberale sia in picchiata quanto ad adesioni e partecipazioni. Tutte le chiese liberali stanno rapidamente perdendo terreno, pur essendo teologicamente aperti a tutto e politicamente allineati al governo progressista. Gli evangelici crescono, soprattutto grazie alla presenza di credenti emigrati e alla diffusione delle varie forme del movimento pentecostale.

Per quanto riguarda l’Europa occidentale, il sociologo belga Jelle Creemers si è soffermato sul caso olandese mostrando la lieve crescita evangelica in questi ultimi due decenni, all’interno di spettri di diversità molto complessi. E’ impossibile comprendere sociologicamente l’evangelicalismo se non si hanno categorie adeguate. Questa complessità dice, da una parte, che esiste un terreno comune dell’evangelicalismo: un nucleo dottrinale e spirituale che unisce; dall’altra, non si deve scambiare ciò che è in comune con una piatta uniformità. L’evangelicalismo esprime sensibilità molto diversificate che, talvolta, stupiscono gli evangelici stessi.

La conferenza dei teologi evangelici europei è stato un laboratorio in cui ascoltare anche le analisi sociologiche, sapendo che l’identità evangelica non si riduce a meri tratti sociologici. Esiste una base dottrinale comune che accomuna tutti coloro che sono passati da una conversione a Cristo, ricevendo il dono della salvezza per fede soltanto, che ricevono la Bibbia come parola di Dio e riorientano la loro vita per glorificare il Signore. 

(continua)

Della stessa serie:
“Identità evangelica in Europa (I). Un tema kafkiano?” (2/9/2024)
“Identità evangelica in Europa (II). Le chiese evangeliche saranno multiculturali?” (9/9/2024)