Il dio verde, un nuovo idolo della nostra cultura?

 
 

“La religione ecologica è il nuovo oppio dell’Occidente post-cristiano”. Con queste parole il filosofo francese Robert Redeker introduce il pamphlet al vetriolo di Giulio Meotti, giornalista del Foglio, Il dio verde. Ecolatria e ossessioni apocalittiche, Macerata, LiberiLibri 2021, pp. 91. Per Redeker, quella ecologica è una religione feticista (eleva la natura e gli animali a oggetto di culto), panteista (li considera divini) e anti-umana (l’uomo è l’ospite distruttore che va eliminato). 

Ora, a orecchi cristiani, un conto è la cura dell’ambiente, un altro è l’ecologismo come religione. Se l’ambiente diventa un assoluto, ecco che l’ecologismo assume i tratti di una religione totalizzante. Meotti documenta la crescita e le rivendicazioni di questa religione verde, soprattutto sul versante della cultura francese contemporanea. In realtà si tratta di un’evoluzione del pensiero moderno che alla Dea Ragione ha sostituito la Dea Terra (6) visto il fallimento delle ideologie politiche del Novecento e la loro conversione nell’ortodossia ambientalista. Infatti, il filosofo tedesco Peter Sloterdijk l’ha definita “l’ultima religione occidentale” (9). Citando Raymond Aron, Meotti sottolinea che dalla promessa del regno dei cieli si è passati all’aspettativa del regno dell’uomo fino ad arrivare all’attesa del regno della natura (23). La nuova metafisica ecologica nutre il sogno della nuova utopia ambientale.

Il “greenismo” centra poco con l’ecologia cristiana perché non gli interessa rispondere in modo responsabile al mandato culturale ricevuto da Adamo ed Eva: vuole sostituirlo con un mandato a estinguersi per esaltare Gaia. Gli esseri umani, semmai, sarebbero colpevoli del “peccato originale” di consumare e l’unico rimedio sarebbe l’eliminazione del consumo, dunque la fine della specie umana. Il dio verde è contro l’antropocentrismo, in tutte le sue declinazioni. Mentre anche la critica cristiana riconosce di aver per troppo tempo sposato una cultura umanocentrica perdendo di vista la collocazione dell’essere umano nel creato, la religione ecologica, figlia della sedimentazione dell’evoluzionismo, dell’anti-specismo e dell’intersezione di tutte le lotte di liberazione immaginabili, non vuole redimere la cultura, ma soppiantarla con un’utopia ecolatrica.

La religione verde sta edificando un vero e proprio culto: ha i suoi giorni santi (la Giornata della Terra), i tabù alimentari (veganesimo), i templi (le università occidentali del pol.corr.), i sacerdoti (gli esperti che sciorinano dati catastrofici), le vestali (Greta), la sua apocalittica (l’incubo del riscaldamento globale). Ha anche la sua ostia (il compost). I suoi nemici sono l’Occidente, il capitalismo, l’uomo bianco, il cristianesimo e tutto ciò che è ad essi intrecciato. Meotti conclude in modo forte dicendo che: “Dio è diventato verde e in sacrificio chiede la morte dell’Occidente. Amen!” (77). 

Il pugno in pancia è in effetti duro e Meotti ha l’abilità giornalistica di non smorzarlo. E’ interessante che usi nel sottotitolo la categoria teologica dell’idolatria, anche se non la sviluppa affatto. E’ più un richiamo retorico, ma non una chiave di lettura. Peccato. Un altro limite del pamphlet è che, nel criticare il greenismo, non è autocritico rispetto alle devianze della cultura occidentale nelle loro varianti capitalistiche, individualistiche, consumistiche, narcisistiche. 

Per una cultura evangelica, l’idolatria dell’ambiente (ecolatria) è speculare all’idolatria dell’io (egolatria). Per combattere ogni idolatria, non basta difendere l’Occidente e le sue acquisizioni: va confessato l’unico e vero Dio, il Creatore dei cieli e della terra, e in Gesù Cristo, il Salvatore del mondo, e re-imparare a vivere di conseguenza. Il compito profetico di denunciare gli idoli deve essere accompagnato dal compito regale di re-impostare la vita non difendendo lo status quo, ma entrando nel regno di Dio e da lì proseguire.