Il Keller Center for Cultural Apologetics. Benissimo ma …

 
 

Buona notizia, anzi ottima. L’annuncio dell’avvio del Keller Center for Cultural Apologetics non può che riscaldare i cuori di chi ha a cuore la teologia pubblica e la testimonianza evangelica nel campo della cultura. Bene che vi sia un’iniziativa volta ad alimentare ed irrobustire l’apologetica cristiana e che il taglio sia di tipo culturale in senso ampio (e non solo filosofico o scientifico). Il Centro è intitolato a Tim Keller, un pastore (ora emerito) e figura pubblica del mondo evangelico americano, la cui influenza è molto diffusa. Tra gli altri campi di lavoro, Keller si è impegnato nell’apologetica e questo Centro è un tributo alla sua opera, presa come punto di riferimento. L’ultima fatica di Keller in campo apologetico: How to Reach the West Again (2020) contiene molti spunti utili. Ci sono molte ragioni per cui salutare con entusiasmo questa iniziativa. Ecco alcune, non in ordine d’importanza:

Il bisogno è reale e urgente. E’ impressione diffusa che il modo tradizionale di fare apologetica, i suoi linguaggi e i suoi codici arrancano di fronte alle sfide della cultura contemporanea. L’incredulità è sì anti-religiosa, ma anche super-religiosa. Non si tratta di confrontarsi con l’ateismo, ma anche con le religioni e la creduloneria. Ci si deve aprire all’arte, ai temi della sessualità, della giustizia sociale, dell’ambiente, ecc. Tutto, poi, passa dalla infosfera. Bene quindi che ci sia un’iniziativa evangelica di livello che prenda di petto questo fascio di questioni e rilanci il ruolo dell’apologetica nel campo della cultura.

Il mondo che lo propone è evangelicamente sano. A partire dal direttore, Collin Hansen, per passare dai principali collaboratori coinvolti, siamo di fronte al meglio che l’evangelismo anglo-americano-australiano dispone. Da Michael Kruger, studioso del canone biblico, a Gavin Ortlund, patrologo e studioso di Agostino e Anselmo; da Daniel Strange, pensatore vantilliano ed esperto di teologia delle religioni, a Chris Watkin, autore di Biblical Critical Theory (forse il libro evangelico più importante di questo decennio); da Gary Sutanto e James Eglinton, entrambi brillanti studiosi di Bavinck, tutta la squadra è di livello indiscutibile. E’ il mondo evangelico-riformato sano, sveglio, creativo.

Il progetto è ambizioso. Il Centro si propone di attivare seminari online, fornire materiali, animare conversazioni, ecc. per infondere fiducia nella affidabilità, veridicità, bellezza, profondità, ampiezza dell’evangelo come visione del mondo biblica a confronto della quale le altre visioni del mondo sono pallide e fallaci fotocopie, per di più deludenti. La speranza è che il Centro possa fare da catalizzatore per coinvolgere molti giovani evangelici nel mondo in un serio impegno culturale per l’evangelo e contribuire a rilanciare la testimonianza evangelica pubblica nelle piazze reali e virtuali del mondo.

Tutto bene dunque? Sì, anche se ci sono almeno due interrogativi che rimangono.

1. Coinvolge solo anglosassoni o comunque persone che operano negli USA e in Canada, in Gran Bretagna e in Australia. Non è un po’ provinciale pensare che si possa fare apologetica culturale non avendo referenti e contributori di altre aree linguistico-culturali: ispanica, lusitana, francofona, germanica, araba, ecc. che possono lavorare anche in inglese ma che sono portatori di un altro sguardo culturale? Nessun africano o asiatico che vive fuori dalla bolla occidentale angloamericana-australiana? Vero è che l’inglese è la lingua franca e la cultura anglosassone è trendy, ma non ci sono persone che, vivendo in aree non anglofone, stanno facendo apologetica culturale che è una risorsa per tutti?

2. Nella sua analisi di partenza, il Centro scommette tutto sulla sfida del post-cristianesimo (post-protestantesimo) anglosassone, ma non ha categorie apologetiche per il post-cristianesimo ecumenico, cattolico, né per il dialogo inter-religioso. Tutto è ricondotto alla provincia anglosassone, ma oggi nel mondo ci sono 1,3 miliardi di persone che si dichiarano cattoliche e l’ecumenismo è la modalità di gran parte della post-cristianità. Il Centro sembra avere il solito occhio cieco dell’evangelismo anglosassone: non ha una grammatica per affrontare la questione del post-cristianesimo da una prospettiva veramente globale. Si accontenta di dilatare il suo mondo pensando che sia quello di tutti gli altri e non ha l’umiltà necessaria per imparare anche da altri evangelici che, lavorando in contesti a maggioranza cattolica o ortodossa o in contesti segnati dalla presenza pervasiva di altre religioni, stanno facendo apologetica culturale

Ciò detto, buon lavoro al Keller Center for Cultural Apologetics!