La morte della Regina Elisabetta e le domande della fede

 
 

Come per molti dei miei connazionali, la notizia della morte della regina mi ha grandemente sconvolta. Non perché fosse inaspettata, dopo tutto aveva 96 anni, ma perché ha segnalato la fine di un’epoca – nessuno sotto l’età di settant’anni ha visto un altro monarca sul trono del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e degli altri Regni e Territori. In un certo senso la sua presenza rappresentava una costante – mentre il mondo attorno cambiava alla velocità della luce (sono saliti al potere quindici Primi Ministri e quattordici Presidenti americani durante il suo regno) c’era sempre la regina, stabile, impassibile, rassicurante, in qualche modo la rappresentazione dell’identità nazionale e della tradizione.

Oltre a questi epiteti si è parlato molto anche della sua fede cristiana, sia nel mondo evangelico che non: sono usciti diversi articoli in merito, cantanti contemporanei cristiani hanno dedicato i loro profili social al ringraziamento per l’esempio di una vita vissuta al servizio degli altri, si è ricordata la sua amicizia con Billy Graham e le volte in cui la regina l’ha invitato a predicare, e si è riaperto il dibattito riguardo a uno dei suoi tanti titoli, Difensore della fede, titolo che il re Carlo III ha ufficialmente assunto sabato 10 settembre in una cerimonia trasmessa per la prima volta in diretta TV, diventando quindi il governatore supremo della chiesa di Inghilterra.

Questo titolo fu conferito da Papa Leone X a Enrico VIII in riconoscimento del suo libro Difesa dei sette sacramenti, che sostenne la natura sacramentale del matrimonio e la supremazia del papa e fu visto come un contrasto importante alla nascente Riforma protestante, specialmente agli insegnamenti di Martin Lutero. Dopo la scissione con Roma Enrico mantenne il titolo per sfidare i cattolici romani, e da quel momento diventò uno dei ruoli del monarca. Infatti, come governatore supremo della chiesa, il monarca nomina membri di alto rango nella chiesa (es. l’arcivescovo di Canterbury, vescovi e decani), sempre su consiglio del Primo Ministro che a sua volta viene consigliato dai leader della chiesa, i cosiddetti Lords Spiritual. Inoltre, chi viene ordinato come ministro nella chiesa anglicana giura di essere fedele e rendere omaggio al sovrano. La morte della regina ci ha dato la possibilità di vedere i risultati di questo connubio tra l’identità nazionale nella figura del sovrano, il potere politico e la fede cristiana rappresentata dalla chiesa di Inghilterra.

In certi ambiti l’importanza del ruolo cospicuo della chiesa nelle funzioni liturgiche e nei riti delle ultime settimane viene considerato come evidenza di quanto la fede cristiana sia profondamente intrecciata nel tessuto della vita nazionale britannica. Come se il fatto che la chiesa presiede ai funerali del monarca rendesse l’intera nazione in fondo cristiana. Allo stesso modo qualsiasi atto che possa essere interpretato come dimostrazione di una certa spiritualità (entrare in una chiesa per firmare il libro di condoglianze o accendere un cero, comprare dei fiori da lasciare a Green Park o farsi chilometri di strada e ore di coda in piedi per poter inchinare la testa davanti alla bara o magari fare il segno della croce) viene accolto come una vittoria contro il secolarismo, come se questo barlume di spiritualità fosse motivo di speranza per un ritorno alla fede.

Tutto questo fa riflettere: si può parlare di fede cristiana a prescindere dall’idea che abbiamo di chiesa? Se la nostra idea di chiesa è quella di una chiesa di popolo, come può essere la chiesa anglicana, quali sono gli impatti per la nostra concezione della fede cristiana?

La visione riformata invece sostiene l’idea di una chiesa confessante, dove i membri sono membri perché confessano una fede comune e allo stesso tempo personale, ricevuta come dono di Dio per iniziativa di Dio. Per questo motivo non si pratica il battesimo degli infanti, in quanto gli infanti non possono professare il ravvedimento a Dio e la fede nel Signore Gesù – il battesimo è il segno esteriore e posteriore dell’unione individuale con Cristo. Si proclama invece la separazione tra stato e chiesa, riconoscendo sempre la legittimità dell’autorità dello stato ma non sulla chiesa. Lo stato non deve servirsi della chiesa e nemmeno servirla perché la fede religiosa non può essere imposta: può essere soltanto l’opera dello Spirito Santo. Altri segni distintivi della chiesa confessante potrebbero essere che vengono coltivate l’indipendenza della chiesa locale e la tolleranza religiosa. Le differenze tra le due visioni sono chiare: “l’appartenenza alla chiesa non è infatti il frutto della semplice decisione umana, ma la risposta a Colui che ha scelto di fare alleanza. Non nasce dall’educazione, ma dall’azione dello Spirito Santo che convince di peccato, di giustizia e di giudizio in accordo col proposito eterno di Dio”. Nella visione confessante, la chiesa è libera di essere quella che il Signore l’ha chiamata ad essere e di fare quello che il Signore ha comandato, perché tutto parte da Dio.

L’avvenimento storico della morte della regina ci lascia pertanto con alcune domande: che visione di chiesa abbiamo e di conseguenza che tipo di fede vogliamo confessare: una fede cristiana che professa l’iniziativa di Dio e la responsabilità di ciascuno davanti a Lui, o una fede collegata in modo malsano alle autorità umane e disposta ad accettare forme riduttive di spiritualismo?

 

Materiali e articoli che sono stati utili nella redazione:

  • Dizionario di teologia evangelica, a cura di P. Bolognesi, L. De Chirico, A. Ferrari, Marchirolo, EUN 2007, voci: “Governo della chiesa”; “Anglicanesimo”; “Chiesa”.

FOTO: CHRIS LEVINE/ROB MUNDAY © JERSEY HERITAGE TRUST