La “zona grigia” del cattolicesimo italiano. Tre domande aperte

 
 

28 a 1. Gli ultimi dati sulla pratica religiosa in Italia (Pew Research Center, 2025) parlano chiaro: per 1 persona che aderisce al cattolicesimo, ce ne sono 28 che lo abbandonano. L’abbandono avviene in prevalenza tra i giovani e tra i maschi. Tra i Paesi occidentali, l’Italia è il Paese con la forbice più ampia tra coloro che aderiscono e coloro che abbandonano.


Questi dati fanno da corollario a quelli presentati dal Censis su “Italiani, fede e Chiesa” (novembre 2024) e che fotografano la situazione attuale. Gli italiani che si definiscono “cattolici” sono il 71,1% della popolazione: più nel dettaglio il 15,3% si definisce cattolico praticante, il 34,9% dichiara di partecipare solo occasionalmente alle attività della Chiesa e il 20,9% si definisce “cattolico non praticante”.


Non ci sono grandi scossoni rispetto a rilevamenti precedenti. I cattolici che i sociologi definiscono “prestazionali” (cioè che fanno qualcosa di cattolico) sono in diminuzione, mentre il cattolicesimo continua ad essere un amalgama identitario in cui ciascuno calibra a piacimento il proprio grado di identificazione. 


Nella ricerca del Censis si legge che “se il parametro dell’appartenenza è il ‘riconoscersi’, il voler continuare ad appartenere ad una comunità, senza frequentarla con continuità, senza rispettarne le regole e nutrendo anche una certa diffidenza sul modo in cui viene gestita da chi ha incarichi di responsabilità; allora i cattolici sono tanti”.


Ecco l’area che i sociologi del Censis definiscono la "zona grigia": gli italiani che si identificano come cattolici pur praticando poco, mantenendo un rapporto individuale ed emozionale con la fede. La “zona grigia” è quello spazio ampio e inclusivo, dai confini volutamente non definiti, ma che comunque rappresenta il cattolicesimo della maggioranza degli italiani. 


Magari, se sono un minimo acculturati, i cattolici della “zona grigia” leggono il libro del non credente Aldo Cazzullo sulla Bibbia (emotivamente interessato alla Scrittura, ma infarcito di luoghi comuni dell’incredulità) o quelli di Massimo Recalcati sull’intreccio tra psicanalisi e Bibbia (evocativi e problematizzanti, ma sempre al di qua della fede), o ancora quelli di Corrado Augias su Gesù e Paolo (neo-illuministi anche se fascinosi), o di Vito Mancuso (volutamente provocatori anche se pur sempre profondamente cattolici), ma non vanno a messa la domenica e non praticano la morale della Chiesa romana. 


Sia come sia, resta il fatto che l’Italia è ancora un Paese culturalmente cattolico: il 79,8% dichiara che la sua base culturale è di ispirazione cattolica mentre il 61,4% si dice d’accordo con l’affermazione che il cattolicesimo è parte integrante dell’identità nazionale (anche il 41,4% dei non credenti). 


La ricerca del Censis è stata oggetto di un recente confronto nella Basilica di San Giovanni in Laterano tra personalità della cultura cattolica e laica. In effetti la “chiesa in uscita” voluta da Papa Francesco non sta producendo i risultati sperati. Mentre il Papa allarga le maglie della misericordia, include tutti, sorvola sui presidi identitari romani, vuole coinvolgere le periferie con le modalità “sinodali”, la gente si sente già di appartenere ma senza il dovere di prestazione. La “zona grigia” si allarga.


Seguire dall’esterno le discussioni del cattolicesimo italiano su come trattare la “zona grigia” pone alcuni quesiti anche per l’osservatore evangelico. 


1. Gli intellettuali cattolici si scervellano su come ridurre la massa grigia, ma nessuno mette in discussione il suo presupposto teologico: la chiesa è “di popolo” (composta di battezzati) o “confessante” (composta di credenti)? Invece solo di cercare di porre rimedio alle scarse prestazioni della massa, perché non farsi la domanda più radicale sulla natura della chiesa? Chi appartiene alla chiesa di Gesù Cristo: tutti i battezzati o solo i credenti? Gesù ha detto che ci sono due vie: una larga e spaziosa, l’altra stretta e angusta. Quelli che gli appartengono sono quelli che lo hanno riconosciuto come Figlio di Dio, Signore e Salvatore. Non si deve ripartire da qui?


2. Siamo sicuri che anche le chiese evangeliche non contengano al loro interno una “zona grigia” fatta di tante persone disaffezionate, critiche, deluse, magari ancora legate ad alcune pratiche religiose (la frequentazione del culto domenicale), ma non più “confessanti” nella loro vita? Questo per dire che la zona grigia interessa principalmente le chiese “moltitudiniste”, ma non bisogna illudersi che la questione non sia presente anche nelle chiese evangeliche. Come trattiamo il gap tra le affermazioni altisonanti e la qualità del vissuto cristiano che si registra?


3. Probabilmente, molte persone che si affacciano alle chiese evangeliche oggi provengono dalla “zona grigia” del cattolicesimo. Si tratta di persone che si dicono “cattoliche”, ma a modo loro. Entrano a contatto con gli evangelici tramite amicizia con credenti o attraversando un periodo particolare della loro vita. Portano con sé i segni del cattolicesimo culturale, dentro un miscuglio di credenze contraddittorie. Abbiamo fatto una riflessione particolare che aiuti le chiese evangeliche a ricevere queste persone, aiutandole a scoprire il vangelo?