L’eucaristia a Joe Biden? L’impossibile coerenza del cattolicesimo

 
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Può un cattolico pro-scelta (che sostiene l’aborto) essere ammesso all’eucaristia? La domanda è valida comunque, ma se il cattolico di cui si parla è Joe Biden, presidente degli Stati Uniti, cattolico e convinto abortista, il quesito assume anche una veste pubblica di grande rilievo all’interno della Chiesa di Roma. Ovviamente, Biden non è l’unico caso di persona a porre un problema per la chiesa cattolica in quanto convintamente cattolico ma anche convintamente contrario ad una delle posizioni-bandiera della morale cattolica. Ci sono nel mondo milioni di cattolici che, per una ragione o per l’altra, non presentano i requisiti canonici per essere ammessi all’eucaristia in base alle loro situazioni di vita od opzioni ideologiche: i divorziati, gli omosessuali, gli abortisti, ecc.

Dunque, il caso di Biden è emblema di una questione più ampia. Già nel 2002, il card. Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, scrisse una “Nota della Congregazione per la dottrina della fede su cattolici e politica” (2002) in cui cercò di mettere i puntini sulle i, ribadendo la necessità della coerenza dei cattolici impegnati in politica sui valori non-negoziabili (ad esempio: no all’aborto, no all’eutanasia, sì alla famiglia tradizionale). In sostanza, Ratzinger sosteneva che un politico cattolico avrebbe dovuto attenersi alla dottrina sociale della Chiesa di Roma e non rivendicare una “fede adulta” al punto da sostenere il contrario nella sua vita pubblica.

Sono passati vent’anni e tanta acqua è scorsa sotto i ponti del Tevere, sponda vaticana. Oggi il caso di Biden che, da politico sostiene l’aborto e da cattolico partecipa alla messa mettendosi in fila per ricevere l’eucaristia, ripropone la questione sui criteri di ammissione all’eucaristia per i politici che si definiscono cattolici, ma sono eclettici quanto alla morale. Il tema fa discutere: negli USA un’importante componente conservatrice chiede l’esclusione di Biden dall’eucaristia. Per questa ragione l’attuale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il card. Ladaria, ha scritto una lettera al presidente dei vescovi USA José Gomez invitando tutti al dialogo e a non dividersi sulla questione. In pratica Ladaria ha stoppato i duri e puri del cattolicesimo neo-con americano che volevano che la chiesa di Roma impedisse la comunione ai cattolici abortisti come Joe Biden e Nancy Pelosi. In effetti, i cattolici di First Things , bastione dell’intellighenzia cattolica conservatrice, si sono indignati: George Weigel, biografo di Giovanni Paolo II e una delle menti di quel mondo, ha definito la lettera di Ladaria “deprecabile” (most unfortunate) per il suo tono pilatesco.

Ora, da non cattolici non si può che entrare in punta di piedi in questo dibattito interno alla chiesa di Roma. Da osservatori comunque interessati, è possibile fare qualche considerazione generale. Il punto è che i settori del cattolicesimo che invocano la “coerenza” hanno in mente un’ecclesiologia “confessante” (in cui i membri della chiesa sono i credenti impegnati all’interno di un patto ecclesiale) che non è quella cattolico romana. La chiesa cattolica non è mai stata una chiesa “confessante”, ma moltitudinista: si è membri grazie al sacramento del battesimo cui seguono gli altri sacramenti. Non sempre la fede personale segue il sacramento: in molti casi, il sacramento viene amministrato, ma la fede non c’è. Molti cattolici lo sono di “nome”, ma nella vita cambia poco o niente.

In più, dal Vaticano II in poi, Roma ha compiuto una scelta strategica a favore dell’inglobamento della cattolicità a spese della rigorosa coerenza con i suoi princìpi. Tra una chiesa confessante di minoranza e una chiesa nominale di maggioranza, il Vaticano II ha scelto decisamente la seconda opzione. In fondo, per il Vaticano II tutti appartengono al popolo di Dio in ragione del battesimo ricevuto o “desiderato”, indipendentemente dalle loro credenze e dai loro comportamenti. I cristiani cattolici praticanti sono in prima fila; in seconda fila ci sono gli altri cristiani; in terza fila ci sono i credenti delle altre religioni; in quarta fila ci sono gli uomini di buona volontà. Alla fine c’è posto per tutti, siano essi cristiani consapevoli, siano essi cristiani anonimi. Se la chiesa del Vaticano I scomunicava gli oppositori, quella del Vaticano II non scomunica quasi più nessuno per tenere insieme tutti e per accogliere sempre più persone. Rimane l’impianto dottrinale e la struttura gerarchica, ma la chiesa cattolica ne ha una visione alquanto elastica, al punto da poter includere tutto e tutto dentro le sue braccia materne e capienti. Preferendo quest’opzione volta ad incrementare la cattolicità a scapito della purezza e della conformità ai suoi princìpi, la chiesa romana ha di fatto scelto l’allargamento della sua sintesi in vista dell’assimilazione di tutta la realtà dentro la sua cornice.  

Se la chiesa cattolica dovesse comportarsi nei confronti dei fedeli all’insegna della coerenza coi suoi princìpi, diventerebbe una chiesa confessante, cosa che non vuole essere e non può essere. In Italia, gran parte dei cattolici vive distanziandosi dai dettami della morale cattolica. La chiesa scomunica qualcuno? No. Anzi, considera tutti suoi figli e figlie, non precludendo a quasi nessuno l’accesso ai sacramenti. Sulla carta rimangono i richiami alla coerenza, ma è l’ecclesiologia moltitudinista a non poter applicare quella coerenza. 

La coerenza è un bel principio, ma non lo si può chiamare in ballo quando le scelte di fondo del cattolicesimo sono andate in un’altra direzione: non una chiesa fondata sull’evangelo e che fa dell’evangelo sia il motivo di inclusione dei credenti, sia quello di esclusione dei non credenti, ma una chiesa che è sacramento di unità di tutta l’umanità, abortista e non abortista, credente e diversamente credente. In fondo, Biden è più “cattolico” dei tradizionalisti “romani”.