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Né i papi né le femministe, ma la Riforma protestante ha liberato le donne. Un libro coraggioso

[Questo articolo è stato già pubblicato il 31 maggio 2021. In occasione del periodo estivo, la redazione di Loci Communes ha scelto di ripubblicare articoli che ritiene rilevanti, alternandoli a nuovi. Buona lettura!]

Papi e femministe, citati nella stessa frase, fanno subito pensare ad un rapporto antagonistico ed invece Elise Crapuchettes, nel suo libro Popes and Feminists: How the Reformation Frees Women from Feminism (2017) non solo li paragona, ma conclude anche che sotto molti aspetti si muovano sullo stesso livello nell’intendere il ruolo della donna. Questa prospettiva, così diversa dalle narrazioni dominanti, è una voce fuori dal coro sia nel contesto americano per cui il libro è stato pensato e scritto, ma anche, e forse ancora di più, nel nostro contesto, dove la cultura cattolica impera ancora in molte aree della società, rendendo il lavoro dei movimenti femministi più arduo sotto certi aspetti. 

Nel sottotitolo l’autrice fa una dichiarazione coraggiosa: vuole incoraggiare un movimento religioso capace di liberare le donne dal femminismo, che per antonomasia è il movimento che si batte per la liberazione dalle donne dalla condizione di discriminazione e svalutazione! Tutto ciò sembra impensabile e dissonante come affermazione. La Crapuchettes parte dalla sua storia e dalla sua esperienza per capire come mai la sua vita di casalinga e madre di cinque figli sembra offendere la sensibilità di molte, anche, a volte, nelle chiese dove sempre di più, nel contesto americano, si sente una certa pressione che spinge a ricoprire ruoli nel servizio e nella missione a tempo pieno. 

Così l’autrice, in vista del cinquecentenario della Riforma Protestante (2017), ha raccolto materiali e portato avanti uno studio per capire e comprendere il che modo la Riforma abbia cambiato e migliorato la vita delle donne nel XVI secolo, e se c’è ancora una riforma da portare avanti nella nostra società anche rispetto al ruolo della donna. 

Per l’autrice l’America contemporanea sta vivendo un’era di smarrimento rispetto al ruolo della donna all’interno della società e questo porta molte a vivere condizioni di vita personali caratterizzate del senso di colpa, di ansia o di frustrazione. La società statunitense ha assorbito così tanto il pensiero femminista che tutta la cultura ne è intrisa, spesso anche nelle chiese dove si è infiltrato più o meno prepotentemente un pensiero egualitarista che, a parere dell’autrice, non solo non libera davvero le donne, ma anzi, le schiaccia pretendendo da loro standard irraggiungibili o difficili da sostenere. 

Guardando indietro all’Europa del XVI secolo, dove la chiesa cattolica imperava ancora in tutte le aree della vita di ogni cittadino europeo, nonostante le molte crepe legate alla corruzione e alla decadenza di costumi nel clero, l’autrice evidenzia come la condizione delle donne fosse fortemente influenzata dalla teologia dominante. Essa era basata su una caricatura della donna considerata la donna fonte di peccato, irrazionale, seduttrice, pigra, ribelle ed intellettualmente inferiore. Nonostante ciò, si riteneva che la vita monacale potesse conferire un’occasione di riscatto e salvezza attraverso la castità e le continue privazioni.  

È in questo aspetto che, per l’autrice, Papi e femministe si muovono nella stessa direzione. Entrambe le visioni sminuiscono la donna nel suo essere tale. Secondo entrambe le visioni bisogna essere di più. Così come nel XVI secolo essere solo mogli e madri non conferiva alcun valore alla donna, così oggi, alla ricerca di una esasperante parità, essere “solo” una casalinga, una moglie o una madre non rientra nelle opzioni. Queste vocazioni, quando non vengono demolite completamente, vengono viste comunque prive di completezza e dignità se non accompagnate anche da carriera, indipendenza economica e realizzazione in altri ambiti della vita. Senza voler intendere che la donna sia solo chiamata al matrimonio e alla maternità, si cerca di capire perché questi due aspetti non godano della considerazione dovuta. 

Secondo alcune letture femministe contemporanee, la vita in convento, la vedovanza e la prostituzione, che erano le uniche vie per vivere una vita libera dal controllo maschile, erano molto di più di quanto la Riforma abbia offerto avendo, quest’ultima scoraggiato queste opzioni in tutti i modi possibili. Questa lettura paradossale sottolinea quanto parziale sia la visione li libertà ed il concetto di liberazione che il femminismo offre. La liberazione dalle figure maschili non garantisce in nessun modo parità e condizioni di vita migliori. Davvero l’idea di matrimonio promossa dai riformatori, aderente alla visione biblica di matrimonio, può essere considerata una gabbia in cui l’uomo esercita il completo controllo sulla donna? 

La visione riformata del matrimonio, della condizione della donna e del ruolo dei generi nella società, viene dalla Bibbia. La riscoperta dell’importanza della Scrittura come unica autorità per la chiesa fece in modo di spurgare la fede da tutte quelle sovrastrutture inserite dalla Tradizione della Chiesa di Roma portando ad una vera e propria rivoluzione. In primis, considerare la salvezza un dono per grazia da parte di Dio, liberò la cultura dall’idea di dover meritare la salvezza attraverso le opere. Per le donne, la vita da suora non era più un’opzione. Essere rinchiuse in convento per vocazione o per motivi legati alle condizioni economiche delle famiglie non era più necessario per guadagnare la salvezza. Conseguenzialmente, se il Signore nella sua infinita bontà, chiamava a salvezza sia uomini che donne, queste ultime, avevano davanti a Dio la stessa dignità e pari valore. La maternità ed il ruolo di moglie assunsero quindi un valore profondo e centrale. La moglie e la madre non erano figure ambigue per il pensiero riformato. Non erano più viste come mali necessari. 

Per spiegare in che modo la condizione femminile cambiò, la Crapuchetts, lascia parlare direttamente le biografie di donne che, durante la Riforma, non solo aiutarono il movimento, ma ne furono vere e proprie protagoniste. A partire da Katerina Von Bora (moglie di Lutero), passando per Olimpia MorataRenata di Francia, e decine di altre né in posizioni di prestigio, né mogli di riformatori che lavorarono con fede e costanza per annunciare il Vangelo e, attraverso di esso, cambiare la società. 

In quest’ottica, tutto cambia prospettiva. Senza prima accettare la libertà in Cristo, né la religione, né la maternità, né l’indipendenza economica o il lavoro o qualsiasi altra strada verso l’emancipazione, sarà sufficiente per liberare tanto le donne quanto gli uomini dal fardello degli stereotipi. Acquisendo una nuova identità in Cristo, l’essere donna permette di lavorare, di restare a casa con i bambini, di sposarsi o di restare single senza che nessuna di queste cose definiscano la persona nel suo essere uguale in dignità davanti a Dio e senza sentirsi sminuite nel poter avere ruoli diversi ma complementari a quelli degli uomini, con la stessa chiamata ad annunciare e vivere l’evangelo in ogni angolo della terra


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