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Nicea 325-2025. Il pretesto per un ecumenismo infondato?

Tra un paio di anni ricorrerà un anniversario significativo, molto difficile da ignorare. Nel 2025 saranno passati ben 1700 anni dal concilio di Nicea, indetto nel lontano 325. Non stupisce che il Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC) e la chiesa romano-cattolica stiano già collaborando in vista della commemorazione di questo evento storico in chiave prettamente ecumenica. A loro detta, il ricordo di questo concilio, e in particolare il credo sottoscritto, sarà “un’opportunità per consolidare la collaborazione strategica tra il CEC e la chiesa cattolica, invitando i cristiani e le chiese in giro per il globo a riflettere sulla e vivere la fede apostolica insieme oggi”. 

Dopo il concilio di Gerusalemme (Atti 15) incentrato sulla grazia di Dio, quello di Nicea è stata un’altra importante tappa per la dichiarazione dei fondamenti della fede cristiana. Il credo sottoscritto durante l’incontro, e ultimato a Costantinopoli nel 381, può a ragion veduta essere definito una minuta e preliminare “teologia sistematica”. Esso sintetizza in brevi ma significative frasi alcuni degli insegnamenti portanti della Parola di Dio: la Trinità, la consustanzialità di Dio Padre e Dio Figlio, la creazione, il peccato, il sacrificio, la resurrezione e l’ascensione di Cristo, la chiesa, il battesimo e il giudizio finale. A distanza di diciassette secoli, CEC e chiesa cattolica vorrebbero fare riferimento al credo per continuare a consolidare la loro discutibile unità, senza però tenere intenzionalmente conto di aspetti che se considerati approfonditamente renderebbero il loro cammino ecumenico invalido e pretestuoso. Di seguito elenchiamo tre spunti di riflessione ripresi dalla prima appendice (A1) del fascicolo “Letture patristiche (IV-V secolo)”, Studi di Teologia N. 61 (2019)

Innanzitutto, gli organismi sopracitati sembrano voler improvvisamente annullare le differenze teologiche che soggiacciono nelle parole del credo. Se “foneticamente” le parole sottoscritte al concilio possono essere condivise da tutte le branche del cristianesimo, “semanticamente” parlando mostrano mondi di pensiero contrapposti e non sintetizzabili. Quando un cattolico parla della “chiesa” intende qualcosa di diverso rispetto a un protestante. Se un protestante liberale legge “Scritture” ha in mente un concetto decisamente dissimile rispetto ad un evangelico. Come si può quindi sbandierare il credo niceno come base dell’ecumenismo tra realtà così differenti se una dice A e l’altra capisce B, se una legge C e l’altra pensa Z? 

Secondo, l’intenzione di tornare indietro nel tempo ed incontrarsi al tavolo niceno, annulla secoli di storia operando una sorta di “cancel-culture”. Dal concilio di Nicea, la storia è andata avanti e ha portato con sé la costruzione di sovrastrutture dottrinali e griglie interpretative. Come ci si può accumunare con il cattolicesimo se dietro alla sua cristologia, pneumatologia ed ecclesiologia si legge in filigrana il dogma mariano costruito nel corso dei secoli? Come ci si può accordare teologicamente con un pensiero religioso che guarda i termini niceni “la nostra salvezza” e “perdono dei peccati” con la lente dei sacramenti e delle indulgenze? 

Terzo, il credo di Nicea sintetizza degli insegnamenti biblici, perciò quando viene professato dall’individuo e dalla chiesa, in linea con il concetto di Romani 10:9, dovrebbe essere detto con sincerità, integrità e convinzione. Come sottolinea De Chirico a proposito dei protestanti liberali: “Quanti credono che Dio sia veramente creatore dei cieli della terra? Quanti sono persuasi che sia realmente nato dalla vergine Maria? Quanti credono che sia risorto corporalmente? Quanti sono convinti che verrà visibilmente una seconda volta per giudicare i vivi e i morti?” (A1, p. 68). Se molti di coloro che avvocano l’ecumenismo sulla base di questo credo rispondessero sinceramente alle domande poste, si svelerebbero differenze di vedute sostanziali e poco trascurabili. 

Se da una parte siamo contrari a un’unità pretestuosa tra due o più realtà teologiche evidentemente contrapposte, dall’altra incoraggiamo gli evangelici italiani e internazionali, accomunati dallo stesso Vangelo di grazia, a cogliere questa ricorrenza per riflettere su ciò che i nostri padri nella fede hanno sottoscritto nel quarto secolo basandosi sugli insegnamenti della Parola. Sarà un’occasione per il popolo di Dio per consolidare la propria identità storica, accrescere la scolarità teologica e rinsaldare l’unità che abbiamo già perché integramente confessanti lo stesso Dio rivelato nella Scrittura. 


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