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Perché l’incarnazione di Cristo? Spunti per il Natale da Anselmo d’Aosta

Si avvicina la stagione del Natale e forse può essere utile ascoltare la voce di Anselmo d’Aosta (1033-1109) sulle ragioni dell’incarnazione di Cristo. Se nel Monologion e nel Proslogion Anselmo si è occupato dell’esistenza di Dio, nel Cur Deus homo? (1094-1098) Anselmo d’Aosta affronta la questione dell’incarnazione del Verbo e della redenzione dell’uomo. La domanda è: perché Dio si è incarnato? Il Cur Deus Homo è un dialogo tra Anselmo e il discepolo Bosone, quest’ultimo nella veste di interlocutore-obiettore del maestro. Come nel Monologion Anselmo aveva presentato le ragioni necessarie (rationes necessariae) dell’esistenza di Dio, in quest’opera si cimenta nel delineare le ragioni necessarie dell’incarnazione. Il metodo è simile per non dire lo stesso. In questo caso, Anselmo parte dall’ipotesi metodologica che nulla si sappia del Gesù Cristo storico presentato dai vangeli: “mettendo da parte il Cristo (remoto Christo), come se nulla sia mai accaduto a suo riguardo, esso [il libro] prova con ragioni necessarie l’impossibilità che qualche uomo si salvi senza di lui” (Prefazione). Non è la presentazione evangelica della storia di Gesù, né la narrazione storica-redentiva dell’incarnazione (profezie adempiute), ma sono le ragioni “logiche” della stessa ad essere al centro dell’attenzione di Anselmo. Nelle intenzioni di Anselmo, avendo provato razionalmente la logica dell’incarnazione cui segue l’espiazione, la narrazione storico-redentiva della persona e dell’opera di Gesù viene confermata.

In sintesi, Anselmo parte dal fatto che il peccato dell’uomo ha infranto un ordine cosmico e per riparare quest’ordine è necessario dar soddisfazione a Dio, cosa impossibile per l’uomo, essere finito e, per di più, considerata l’infinità del male compiuto. Esso poteva venir riparato solo dall’uomo-Dio, il Cristo, che realizza la sua opera accettando per libera scelta la morte in croce. L’umanità precipitata nel peccato è, allo stesso tempo, lontana da Dio e incapace di salvarsi con le proprie forze, se non con l’intervento di Dio stesso che si fa uomo per soddisfare la giustizia di Dio offesa dal peccato. Nelle parole di Orazzo, “l’uomo deve riparare l’offesa fatta a Dio, ma non può. Dio stesso può riparare l’offesa del peccato, ma non deve. Occorre che ci sia qualcuno che possa dare l’offerta riparatrice come Dio e, al tempo stesso, sia nella condizione di doverla da come uomo, a favore dei suoi fratelli in umanità”.[1]

Contrariamente a precedenti spiegazioni dell’espiazione come un riscatto al diavolo che doveva essere pagato (ad esempio, in Origene), Anselmo sottolinea la soddisfazione dell’onore di Dio come motivo dell’espiazione. L’espiazione ristabilisce la relazione tra Dio e l’umanità e non tra Dio e Satana: non c’è alcun riscatto pagato a quest’ultimo. Certamente, Satana deve prendere atto che, avvenuta l’espiazione, lui è stato vinto definitivamente e non può non adeguarsi alla nuova realtà introdotta dall’opera di Cristo.

L’argomento di Anselmo è certamente condizionato dalle categorie medievali del suo tempo: il suo mondo è feudale e gerarchico ed il suo ragionamento è di tipo giuridico-penale. Tuttavia, il carattere “oggettivo” dell’opera di Cristo pensata come soddisfazione della giustizia di Dio offesa dal peccato non è una sovrastruttura medievale introdotta da Anselmo, ma una comprensione che ha accompagnato la riflessione teologica nel corso dei secoli, prima e dopo Anselmo fino alla Riforma protestante e oltre. Per Anselmo il Natale ha a che fare con l’esigenza di soddisfare la giustizia di Dio offesa dall’umanità: solo Dio può farlo, nessuna persona può farlo. Ecco allora l’uomo-Dio: Gesù Cristo, l’unico che è Dio e uomo allo stesso tempo. Ecco perché Dio è diventato uomo.

[1] “Introduzione” a Anselmo d’Aosta, Perché un Dio uomo?, a cura di A. Orazzo, Roma, Città Nuova 2017, p. 54. Su Anselmo si veda R.A. Finlayson, Le vicende della teologia, Torino, Claudiana 1980, pp. 41-50.


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