Pordenone prima città per vivibilità, Foggia ultima. Quanto dipende dalle chiese evangeliche?

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Pordenone prima città italiana per vivibilità. Foggia ultima. Questa è la cima e la coda di una classifica stilata da Italia Oggi e La Sapienza di Roma che tiene conto di vari criteri di valutazione: dal traffico alla salute, dall’offerta culturale ai servizi, dalla qualità dell’amministrazione allo sviluppo dell’economia locale. Tra le 107 città italiane, Pordenone ha quest’anno scalzato il primato che negli anni scorsi ha visto prevalere altre città (tra cui stabilmente Trento). Questa classifica, come ogni anno, mette in moto commenti diversi. C’è chi la usa per un discorso politico (le città amministrate da un certo schieramento sono migliori o peggiori delle altre); c’è chi la usa per una polemica culturale (le città del nord sono migliori di quelle del sud); c’è chi la impiega per fini campanilistici (la mia città è migliore della tua). Roma veleggia al 50° posto (metà classifica) sorprendentemente di poco sotto a Milano (piombata al 45° posto, forse per gli effetti covid?). In ogni caso, la classifica offre spunti di riflessione sulle nostre città.

La classifica utilizza vari indicatori sociali, economici e culturali. Domanda: quanto la presenza evangelica nelle varie città influisce sul grado di vivibilità delle stesse? In che modo la testimonianza dell’evangelo ad opera di comunità locali impatta la vita cittadina al punto da essere registrabile anche in ricerche giornalistiche e sociologiche?  

La domanda è: sarebbe possibile quantificare l’impatto della chiesa evangelica in una città? Fa una differenza? Nelle nostre città ci sono chiese che incidono in qualche modo nel vissuto cittadino? Dove una chiesa evangelica si stabilizza, vi è (o vi dovrebbe essere) un valore aggiunto per la città. L’evangelo che prende forma in una comunità cristiana porta un capitale morale, sociale e culturale che va ad arricchire la comunità nel suo complesso. 

La chiesa è un luogo di inclusione sociale: diverse generazioni (giovani, anziani, persone di mezza età, bambini) si incontrano e imparano a relazionarsi in modo rispettoso, non creando clan e tribù incomunicanti, ma sperimentando forme virtuose di relazione che travalica le classi d’età. Uomini e donne imparano a trattarsi con onore e fedeltà, senza intenzioni predatorie o abusive da parte di un genere rispetto all’altro. I bambini vengono accolti e incoraggiati a confrontarsi col mondo dei grandi e vice versa. Nativi e stranieri, residenti e migranti, gente dal colore della pelle diverso, trovano uno spazio sociale non respingente, ma responsabilizzante per tutti. Si crea una solidarietà reticolare. Persone di diverse classi sociali (benestanti e poco abbienti) trovano nella chiesa una comunità tendenzialmente redistributiva, comunque votata alla condivisione delle risorse. Persone con vari tassi di scolarità si incontrano e si parlano, fanno cose insieme, imparano a vivere l’uno con l’altro. In una società parcellizzata e frammentata, crepata al suo interno da mille fratture antiche e recenti, la chiesa dell’evangelo costruisce ponti e nutre legami profondi. E tutto questo senza oneri per lo Stato perché si tratta di chiese autofinanziate. 

La chiesa evangelica è anche un luogo di promozione culturale. La chiesa dell’evangelo ha al suo centro un annuncio da ascoltare raccolto in un Libro da leggere e meditare. Chi si avvicina è immediatamente spronato ad intraprendere attività di carattere culturale. Ci sono pratiche scolari che sono poste al centro della vita comunitaria e che favoriscono la crescita culturale di tutti. La lettura è incoraggiata, la meditazione è promossa, il dialogo è praticato, lo studio è ben visto, i libri sono di casa. In una società iper-connessa ma profondamente ignorante, superficiale e gridaiola, una chiesa evangelica è un’oasi di cultura che va a beneficio di tutta la città. 

La chiesa evangelica è infine una palestra di cittadinanza attiva. Siccome l’evangelo comporta una rinascita ad una vita nuova orientata dalla Parola di Dio, essa attiva una nuova soggettività pubblica, apre un rinnovato interesse per la vita in tutte le sue sfaccettature. La fede cristiana suscita una vigilanza sui temi del potere, dell’esercizio dell’autorità, del pluralismo religioso, della laicità, della libertà religiosa, della giustizia diffusa. La religione e l’ideologia possono obnubilare i sensi e addomesticare le menti, la fede viva invece accende i riflessi e l’attenzione. Dove c’è una chiesa evangelica, lì c’è un presidio di libertà e giustizia, lì c’è uno spazio in cui il civismo è coltivato. Si sviluppano gli anticorpi all’idolatria del dio potere e del dio denaro. In un mondo fatto di populismi, qualunquismi e di disimpegno fatalista, la fede evangelica forma una coscienza critica ed autocritica; allena ad una cittadinanza che, mentre considera ogni cosa terrena penultima e transitoria alla luce dell’eternità del regno di Dio, sa valorizzare la cosa pubblica secondo le diverse sfere di responsabilità in essa contenute. 

Anche se in condizioni di minoranza, anche se di dimensioni numericamente piccole, le chiese evangeliche possono fare la differenza. Almeno possono provare a farla. Dipende dalla qualità della fede professata, dallo spessore della vita comunitaria e dall’ampiezza della visione testimoniata. Sarebbe un bell’esercizio per le chiese di una città prendere i risultati della ricerca e chiedersi: in che modo abbiamo contribuito al risultato, se vi abbiamo contribuito? In che modo possiamo fare meglio affinché la nostra presenza sia maggiormente impattante per illustrare la bellezza, la profondità e la vivibilità dell’evangelo?