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Prosek, Parmesan, Makkaroni… come distinguere l’originale dalla contraffazione?

Ci risiamo. Un vino croato denominato “prosek” cerca di spacciarsi affine se non uguale al prosecco veneto per accaparrarsi importanti fette di mercato. È annosa ormai la difesa del Parmigiano Reggiano da tutti i tentativi di imitazione di svariati “parmesan” di dubbia provenienza e di scadente qualità. Anche qui i giri d’affari sono enormi e globali. Che dire poi delle lattine con l’etichetta “makkaroni” che, magari con un tricolore sull’etichetta, si presentano (ahinoi) come testimonial della buona cucina italiana?

Il tema della contraffazione è faccenda seria, con rilevantissimi risvolti legali ed economici. In questi casi, oltre al tentativo maldestro di imitazione di un prodotto, c’è anche la volontà di utilizzare un termine che lo avvicina ad una specie di  “Italian sounding”. Sembra italiano, quindi può fare leva sul valore aggiunto che ciò comporta sulle emozioni dei consumatori e sulle tendenze del mercato.  

Per combattere le appropriazioni indebite di denominazioni di prodotti e le contraffazioni in tutte le loro forme, si mobilitano non solo le aziende interessate, ma anche il governo italiano in tutte le sedi appropriate europee ed internazionali. Non solo per una ragione di prestigio nazionale. Il mercato del “food & beverages” (ironia del caso: stiamo parlando dei prodotti italiani ma il mondo dell’economia parla l’inglese) è una parte non indifferente del nostro PIL e una componente rilevante della produzione e della cultura italiana. Della serie: prendeteci tutto, ma non toccateci il cibo!

A ben guardare, si può giocare un po’ con la metafora della contraffazione ed estenderla anche al “mercato” della spiritualità, compresa quella cristiana. Già nelle prime comunità cristiane, c’era gente che si spacciava come discepole di Cristo, ma la loro fede, pur simile a quella autentica, era una miserabile contraffazione. A Efeso c’erano degli esorcisti che provarono a scimmiottare i credenti blaterando qualche parola e usando qualche formula, ma fecero una bruttissima fine (Atti 19,13-16)! Il loro “prodotto” era oggettivamente diverso anche se rivendica una certa affinità col cristianesimo. Scrivendo a Timoteo (che, guarda a caso, si trovava ad Efeso), Paolo lo mette in guarda da gente che ha “l’apparenza della pietà” senza averne la potenza (2 Timoteo 3,5). Evidentemente si trattava di persone che assomigliavano ai credenti nel portamento, ma erano privi della potenza spirituale che scaturiva da un’autentica adesione alla fede. Si pensi all’eresia di Colosse in cui, con vari raggiri e un uso scaltro delle parole, c’era chi voleva imbrogliare la chiesa introducendo falsi vangeli ed imporre pratiche nocive. 

Gesù stesso fu sottoposto da Satana ad un tentativo di contraffazione. Quest’ultimo si presentò con parole della Scrittura e con propositi apparentemente favorevoli alla fama di Gesù. La sua proposta aveva punti di contatto con la missione del Figlio di Dio, ma, a ben guardare, si trattava di un tradimento della stessa. Assomigliava, ma era radicalmente diversa. Se Gesù avesse imboccato la via della contraffazione proposta da Satana si sarebbe intossicato lui e tutti noi. Ne sarebbe scaturito un danno incalcolabile. Gli esempi di questi abusi da cui la Parola di Dio ci mette in guardia potrebbero essere moltiplicati.

Il punto è che il rischio della contraffazione non è solo nel settore dell’agro-alimentare o della moda. E’ diffusissimo anche nel campo spirituale. Ci sono “versioni” di evangelo che assomigliano a quello vero, ma che ne sono una caricatura, una copia sbiadita se non proprio una pericolosa deviazione. Un esempio contemporaneo è il “vangelo della prosperità”: cita dei testi biblici, evoca dei temi biblici, promuove delle promesse bibliche, ma è una contraffazione, meglio: un “altro” evangelo. Nel suo libro che fece scuola Cristianesimo e liberalismo (1923), Gresham Machen parlò del liberalismo come di una “altra” religione rispetto a quella evangelica. Usava parole cristiane attraenti e invitanti, ma portava veleno dentro la chiesa. Il liberalismo era ed è una contraffazione del cristianesimo.

Mi permetto di segnalare il libro appena pubblicato Stesse parole, mondi diversi. I cattolici e gli evangelici credono nello stesso Vangelo?, Caltanissetta, Alfa & Omega 2021. In esso suggerisco e documento la tesi che il cattolicesimo romano, pur usando le stesse parole della fede evangelica, è un’altra cosa rispetto ad essa. Siamo sicuri che il cattolicesimo non sia anch’esso una contraffazione della fede?

Se un cameriere ben vestito si presentasse con “prosek” qualunque, lo scambieremmo per un vero prosecco italiano? Se uno chef stellato ci servisse un po’ di “parmesan” su un piatto d’argento, ci faremmo infinocchiare? Ordineremmo un piatto di “makkaroni” al ristorante? Perché allora dovremmo dar credito finanche ad un angelo (Galati 1,8) se ci presentasse un vangelo che, pur somigliante, non è quello biblico?


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