Prossimità e comunione fraterna in tempi di distanziamento sociale
Per una chiesa confessante l’aspetto relazionale della comunione fraterna non è solo un effetto collaterale del ritrovarsi più volte a settimana in una sala con le stesse persone. La comunione fraterna è una disciplina fondamentale della vita cristiana. Subito dopo essere entrato in una relazione personale con Dio, il credente entra in una relazione di comunione con altri fratelli e sorelle con cui condivide tutto il cammino cristiano e con i quali si adopera per l’avanzamento del regno.
La situazione anomala in cui ci troviamo ci pone dinanzi nuove sfide su come coltivare questa comunione e su come essere prossimi alla nostra comunità. Improvvisamente e senza essere preparati infatti, ci siamo ritrovati impossibilitati a ritrovarci insieme nei nostri locali di culto, a pregare gli uni per gli altri tenendoci per mano, ad abbracciarci fraternamente, ad aprire le nostre case per gli incontri di preghiera o anche solo per un invito a condividere un pasto insieme, e a non poter celebrare la cena del Signore insieme.
Il rispetto del distanziamento sociale, sicuramente consigliabile in questo momento, però non può e non deve essere l’occasione per un ripiegamento su una fede individualista. Restiamo ancora membra di un corpo ampio e articolato. Prima di interrogarci su come possiamo essere vicini durante questa lontana forzata, possiamo anche cogliere l’opportunità di riflettere su come abbiamo usato la comunione fraterna fino ad ora, su che tipo di relazioni abbiamo investito e su quanto siamo stati attivi nel vivere l’unità cristiana che ci è stata donata.
Per grazia di Dio, affrontiamo la pandemia in tempi in cui tenersi in contatto con altri, seppur solo virtualmente, è estremamente semplice. Sebbene siamo consapevoli che una vicinanza mediata dai social network o da altre piattaforme non sia paragonabile al rapporto che fratelli e sorelle costruiscono in circostanze normali, una situazione del genere ci chiama e ci sprona alla creatività e all’impegno in questo senso.
Le nostre chiese sono sicuramente formate da persone che stanno soffrendo una straziante solitudine, da altre che si ritrovano a vivere in piccoli spazi con tante persone; da qualcuno che affronta malattie o addirittura lutti senza il conforto di nessuno, da anziani che non possono ricevere le visite dei loro cari, da bambini che non possono giocare con i loro coetanei; ci saranno madri che partoriscono in solitudine e disabili in condizioni ancora più precarie. Molti dei nostri fratelli e sorelle sono messi alla prova da nuove condizioni di lavoro o dall’incertezza sul futuro delle loro attività.
L’emergenza quindi, sebbene ci abbia costretto alla solitudine dei nostri appartamenti, ci offre anche l’opportunità per coltivare una comunione profonda e ci ricorda che il nostro prossimo ha senz’altro bisogno delle nostre preghiere, del nostro sostegno, di ascoltare parole di incoraggiamento e di edificazione. Quando torneremo a spezzare il pane e bere il vino insieme, segno della comunione con Cristo, assicuriamoci di aver lavorato anche “Facendo attenzione gli uni agli altri per incitarci all'amore e alle buone opere, non abbandonando la nostra comune adunanza come alcuni sono soliti fare, ma esortandoci a vicenda; tanto più che vedete avvicinarsi il giorno” (Ebrei 10,23).
Tratto da http://www.cerbi.it/sfide11.html