Predicazione e predicatori, 50 anni dopo
Nella primavera del 1969 Martyn Lloyd-Jones (1899-1981) teneva una serie di lezioni al Seminario teologico di Westminster (Philadelphia) durata sei settimane. Due anni dopo, nel 1971, le lezioni vennero pubblicate col titolo Preaching and preachers (P&P). Questo libro, più volte ristampato e tradotto in molte lingue, è diventato un classico dell’omiletica evangelica contemporanea di provenienza anglosassone. Stott, Robinson, Keller, Chapell, e altri, riconoscono che P&P è stato una lettura chiave e che l’influenza omiletica di MLJ è stata decisiva. Nel 2002 l’editore Passaggio di Mantova ha pubblicato una traduzione rendendolo così disponibile anche ai lettori italiani.
Il contesto. Nel 1969 MLJ è all’apice della sua “carriera” di predicatore. Era appena andato in emeritazione dal pastorato alla Westminster Chapel (1968). Pochi anni prima (nel 1966) vi era stato lo scontro con John Stott sul futuro dell’evangelicalismo britannico. Si respira un’aria di “crisi” della predicazione nella cultura britannica, anche se è in corso la riscoperta dei puritani. Alcuni cenni della temperie culturale si sentono nel libro quando MLJ echeggia le critiche culturali al discorso monologico, unidirezionale, argomentato in modo rigoroso, ecc. Non prende in carico le critiche alla predicazione provenienti dalla temperie degli anni settanta, come farà Klaas Runia nel suo libro The sermon under attacko John Stott in I believe in preaching.
Il luogo. La facoltà di teologia Westminster, fiore all’occhiello della teologia evangelica con docenti del calibro di John Murray, Cornelius Van Til, Edmund Clowney, ecc. Questa facoltà chiama MLJ a tenere una serie di lezioni sulla predicazione. Una fruttuosa sinergia tra un’istituzione accademica e un predicatore.
Il taglio. Nella prefazione MLJ aiuta a capire il taglio che dà alle sue lezioni. Si appoggia sull’esperienza di 40 anni alle spalle (7), avendo letto libri sulla predicazione, ma non citando o discutendo altri autori e libri. Non si tratta di lezioni vere e proprie (mancano di struttura didattica, anche se c’è un piano di esposizione; manca un apparato bibliografico; manca un rigore metodologico), ma di una testimonianza vigorosa a favore della predicazione.
Le domande. Pur scritto nel cuore del Novecento, il libro è una risposta appassionata e critica alle tendenze prevalse nell’Ottocento evangelico anglosassone. Il Novecento quasi non compare nel libro. Per MLJ l’Ottocento è stato un “secolo devastante in campo religioso” (283). “Prima dimenticheremo il XIX secolo e torneremo al XVIII o ancora più indietro – al XVII e XVI – e meglio sarà”.
I pericoli. MLJ vede tre pericoli. Il primo è l’intellettualismo omiletico della tradizione anglicana, con il suo elitismo universitario (Oxford e Cambridge) e la confusione concettuale tra pulpito e cattedra. Confondere una erudita lezione con la predicazione è una trappola da cui guardarsi. La predicazione deve essere accessibile, generale, comprensibile, sufficientemente stimolante da non essere banale, ma sempre non al di sopra di una media capacità di comprensione. Al massimo questa è retorica: parlare come un avvocato (94), ma non come un testimone. A questo associa il pericolo del professionismo (268).
Il secondo pericolo è il “populismo” omiletico della tradizione di tutti i movimenti anti-istituzionali (ad esempio il darbysmo). Dove non c’è alcuna distinzione tra persone chiamate e preparate e chi non lo è, il pulpito è accessibile a tutti, senza griglie ministeriali, ecclesiali. Una sorta di tendenza al ribasso della predicazione che nasce da una mal compresa dottrina del sacerdozio universale dei credenti. L’idea che MLJ critica è che ogni credente possa e debba predicare (109). C’è bisogno di una chiamata (111), una presa di coscienza nel proprio spirito, una pressione che aumenta, un senso di costrizione (113) verificata e confermata.
Il terzo pericolo riguarda l’attrattivismo della tradizione dei risvegli finneyiani con il tentativo di manipolare il qualche modo lo Spirito Santo (293). La chiesa deve infondere il senso di Dio (280) non l’accoglienza delle persone per farle star bene. Contro la predicazione piaciona che fa di tutto per adescare le emozioni: la preponderanza della musica, la decentralizzazione del sermone, la prevalenza di altri elementi del culto, la riallocazione al ribasso degli spazi alla predicazione. Per MLJ, tanto maggiore sarà l’attenzione e l’enfasi messa su aspetti marginali dell’adorazione: il tipo di edificio, il cerimoniale, il canto, la musica, e tanto minore sarà il risultato in termini di spiritualità, di temperatura spirituale, di comprensione e di desiderio spirituali. (285).
La visione. Per MLJ la predicazione è il compito principale della chiesa e quindi dei suoi conduttori. Tutto il resto deve dipendere da essa e svilupparsi a partire dalla sua pratica costante nella vita della chiesa (29). La chiesa è un’istituzione speciale e specialistica, finalizzata ad un lavoro che essa solo è in grado di fare (35). Quando la chiesa è fedele nell’adempimento del suo compito principale tutte queste cose ne sono la naturale conseguenza (39). La vera predicazione è Dio in azione (101), dotata di logica ardente (103) che trasmette alle persone il senso della realtà e della presenza di Dio (103).