Quale impatto ha la mia libertà su quella di chi ne ha meno?
Se io difendo la libertà di satira quale impatto avrà sulle comunità di fede che vivono in zone dove questa libertà non c’è? In una recente su Christianity Today (10/11/2020) alcuni evangelici arabi si dicono preoccupati per le ripercussioni che la difesa delle vignette di Charlie Hebdo in Occidente avrà sulle comunità locali.
La libertà di esprimere la propria opinione, indissolubile dalla libertà religiosa, affonda le sue radici in un passato piuttosto lontano ed è un diritto ormai affermato da molte delle Costituzioni democratiche del mondo. Esprimere la propria opinione non è solo un interesse individuale ma porta con sé anche un interesse collettivo per il progresso generale delle nostre società. La storia però ci mostra quanto questo diritto, concesso da Dio agli uomini fin dalla creazione, sia stato e sia ancora in ogni modo, dovunque e da chiunque ostacolato. Ciò è avvenuto durante la schiavitù egizia degli israeliti, sotto l’impero di Costantino, durante i regimi nazi-fascisti e avviene ancora oggi in molti Paesi del mondo come la Corea del Nord o nelle repubbliche islamiche. In questo si mostra la dura realtà del peccato umano che corrompe ogni cosa buona.
Le nostre democrazie liberali non sono esenti da questo rischio. Siamo sommersi ogni giorno da decine di petizioni che hanno lo scopo di mettere a tacere l’opinione di qualcuno o impedire l’espressione di un altro. Una volta sono io, la volta dopo sei tu. Non si cerca il dialogo e il confronto, non si vuole una discussione aperta e serena. Ecco il paradosso della cultura postmoderna e globalizzata nella quale nessuna verità è ammessa: ognuno vuole solo dire la sua senza che l’altro possa fare altrettanto e controbattere. Come ha giustamente affermato Jason Davis nell’articolo “Siamo liberi di essere offesi?” (17/11/2020), “come credenti in Gesù Cristo, dobbiamo essere liberi di essere offesi e di ‘offendere’ secondo l’evangelo”. Ecco il nostro parametro – l’Evangelo – non ne abbiamo altro superiore a questo. Così, se quello che affermiamo offende, deve farlo solo nella misura in cui la fonte dell’offesa sono le parole di Dio e non le nostre e secondo il principio di dire sempre la verità nell’amore. La nostra coscienza, e quindi anche la nostra parola, devono essere prigioniere di Cristo.
Per questo motivo la nostra libertà di espressione è sempre accompagnata dal profondo desiderio di dialogo e non di silenzio del nostro interlocutore; anzi di più, desideriamo difendere il diritto del nostro interlocutore di dire ciò che noi mai sosterremo.
Non speriamo in una società tollerante ma statica, ma in una società plurale ma dinamica, che contempla la possibilità del cambiamento, del dubbio, che trova nel confronto con l’altro la possibilità di crescere in vista della verità. Per gli evangelici vuol dire lavorare in vista di una società dove ogni persona libera abbia l’opportunità di ascoltare la voce di Dio e magari anche di riconoscerla, oltre ad esprimere la propria voce. I conflitti di opinione non termineranno oggi, ma il nostro impegno per la libertà di parola di tutti rimane.
Questo però è solo un lato della medaglia. La relativa libertà di espressione di cui noi godiamo nella nostra parte di mondo ci rende responsabili degli effetti che essa ha sui fratelli e le sorelle in fede che abitano quelle regioni del mondo prive di una tale libertà. Il modo in cui noi qui usufruiamo di questa libertà avrà delle ripercussioni su di loro e alimenterà o darà discredito alla loro testimonianza, soprattutto quando ciò che viene espresso nelle nostre democrazie occidentali viene (in modo surrettizio) associato al cristianesimo.
Se da un lato è giusto e doveroso manifestare il nostro dissenso per le situazioni di repressione che le comunità evangeliche vivono nel mondo, dall’altro lato dovremmo anche prendere posizione quando simili cose accadono qui da noi e usare il discernimento dello Spirito Santo nelle situazioni più controverse. Dovremmo parlare in favore del diritto delle minoranze anche se non appoggiamo le stesse idee e dovremmo favorire il confronto e l’integrazione. Perciò è importante che le opinioni che esprimiamo e il nostro modo di farlo (che sia per mezzo dei social, dei media o di un mezzo tanto potente come l’arte) sia sempre fatto con discernimento, mansuetudine e umiltà avendo come scopo finale l’esaltazione della verità e della giustizia e non il vilipendio o l’oltraggio altrui. Perché la risonanza della nostra testimonianza è lunga.