Laicità e separatismo? La lezione francese da problematizzare
Le vicende d’odio che hanno colpito la Francia negli ultimi mesi hanno riportato alla luce una tensione celata nelle pieghe del quotidiano. La causa di questa violenza è stata fatta risalire al “separatismo” di alcune comunità religiose presenti nel Paese e il presidente Macron ha annunciato nuovi regolamenti per contrastare tale fenomeno. I provvedimenti andrebbero a intervenire sulle strutture organizzative e decisionali di queste comunità (come la selezione dei leader religiosi) e sulle scelte educative delle famiglie (i bambini dai tre anni d’età dovranno obbligatoriamente frequentare una scuola pubblica). È ovvio che si tratti di una forma di controllo e repressione rivolta in modo particolare all’estremismo nelle comunità islamiche.
Abbiamo di che essere grati per le diverse vicende storico-sociali che nel corso degli ultimi due secoli hanno portato la Francia e il nostro Paese ad affermare giuridicamente la separazione tra Stato e religione, ma c’è molto da lavorare per comprendere come un tale concetto giuridico debba applicarsi in modo adeguato ai contesti culturali e storici odierni. Mentre in molti chiedono che anche il nostro Paese si avvicini al modello francese di laicità, gli evangelici s’interrogano se esso sia davvero così virtuoso o non meriti una riflessione più approfondita anche alla luce dei fatti recenti.
Nella tradizione francese la laicità avviene “per sottrazione”. Essa ha relegato le convinzioni religiose alla sfera privata finendo per ingigantire il ruolo dello Stato nel regolare la vita delle comunità di fede. Ricordiamo ad esempio il dibattito sulla legittimità o no, da parte di privati cittadini, di utilizzare abbigliamento e simboli religiosi “vistosi”, ossia palesemente riconducibili alla religione professata. Per la fede evangelica una simile scissione è ovviamente impossibile perché l’insegnamento biblico non contempla una religiosità che non abbia effetto sul vissuto e sulla cultura dell’individuo e quindi che non si esprima pubblicamente nelle comunità e nella società che abita.
Ci sono alcuni rischi che una laicità per sottrazione corre. In primo luogo, invece di contrastare il separatismo potrebbe contribuire ad alimentarlo. Quando le comunità religiose si sentono sempre meno libere di esprimere e vivere pubblicamente la proprio fede, di esercitare ad esempio in modo libero il dovere di educare i figli secondo le proprie convinzioni religiose e di farne un oggetto quotidiano di dialogo e confronto trasparente con chi ha una visione differente dalla propria, si innesca un processo di “ghettizzazione” che accentua il separatismo piuttosto che l’integrazione e crea le condizioni favorevoli affinché il radicalismo di alcuni si muova nell’ombra. Inoltre, si allarga il divario tra le comunità e si genera pregiudizio ed incomprensione. Un atteggiamento privatistico della fede non incentiva la relazione e il dialogo.
In secondo luogo, lo Stato è tentato di interferire su questioni che toccano direttamente l’identità stessa delle specifiche comunità religiose, mettendo bocca ad esempio su questioni organizzative interne strettamente legate al credo e alla liturgia, fino a invadere una sfera di autorità che non gli compete ed assumendo proprio quell’atteggiamento ingerente che lo stesso principio di laicità dovrebbe contrastare. Così, invece che favorire una responsabile sovranità delle differenti sfere, c’è il rischio di travalicamenti inopportuni, simili a quelli denunciati in Cina e che hanno portato ad avere chiese “legittime” e altre clandestine.
In una recente intervista a Christianity Today, Thierry Le Gall del Consiglio Nazionale Evangelici di Francia (CNEF) ha affermato che “Il rischio reale è che la lotta contro l'Islam radicale riduca la libertà religiosa di tutti”. Tutto ciò dimostra che non è possibile vivere di rendita, ma che la nostra riflessione sul tema della laicità deve assumere un atteggiamento più dinamico per aprire nuove piste di pensiero. Nel 2005 l’Istituto di Formazione Evangelica e Documentazione di Padova aveva proposto un approccio di tipo relazionale.
In Italia l’applicazione compiuta del principio di laicità sembra un orizzonte ancora piuttosto lontano, ciò tuttavia non deve frenare ma piuttosto intensificare i nostri sforzi per la sua realizzazione. La lezione francese dovrebbe inoltre incoraggiare una riflessione non superficiale da parte del popolo evangelico in Europa. È importante che le comunità evangeliche europee maturino una sana comprensione del principio di laicità, per vivere con integrità la propria testimonianza nella sfera pubblica e per dare un contributo davvero rilevante al dibattito e attento ai rischi che corrono le “minoranze religiose”.