Quando papa Francesco parla di “riforma” cosa ha in mente?

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Riforma è una parola contesa nel campo cristiano. Sembra che tutti le attribuiscano ormai un significato positivo. Papa Francesco ha impresso una particolare sagomatura al tema della riforma nella chiesa rispetto alle declinazioni precedenti. La domanda è: quando parla di “riforma” che cosa ha in mente? Il libro curato da Antonio Spadaro – Carlos María Galli (edd.), La riforma e le riforme nella chiesa, Brescia, Queriniana 2016 ci aiuta a capire. 

Si tratta della pubblicazione degli atti di un importante convegno internazionale tenuto a Roma nel 2015, organizzato dalla rivista La Civiltà Cattolica, sul tema della riforma della chiesa. L’alto profilo accademico, ecclesiale ed internazionale dei trenta saggi rende il libro un imprescindibile strumento ermeneutico dell’intera parabola del pontificato di Francesco. Il convegno infatti non ha voluto solo registrare lo stato dell’arte della riforma in atto, ma anche offrire un “contributo di ispirazione” ai processi di cambiamento che la chiesa di Roma sta vivendo in questo passaggio storico. La vicinanza di molti autori alla storia biografica ed all’orientamento spirituale del papa permette di misurarsi con una sensibilità interna al pontificato. In tutto ciò, la riforma è una parola chiave per confrontarsi con l’idealità di questo papa. 

Nella chiesa occidentale, di riforma si parla dal concilio di Vienne (1312), Costanza (1414-1418) e Lateranense V (1512-1517). La parola quindi è patrimonio secolare della chiesa, anche prima della Riforma protestante. Il concilio di Trento (1545-1563) l’ha usata abbondantemente per promuovere i cambiamenti a livello di organizzazione ecclesiastica della chiesa di Roma. Dopo alcuni secoli dove sembrava essere diventata appannaggio delle chiese protestanti e quindi trattata con circospezione se non proprio sospetto, è stato il Vaticano II (1962-1965) a riutilizzarla (LG 4) impiegando anche aggiornamento (GS 44) o rinnovamento (UR 4) nel senso tipicamente cattolico di continuità nel cambiamento e di cambiamento nella continuità votata ad un’accresciuta fedeltà alla vocazione della chiesa (UR 6). 

Su questo macro-sfondo storico, Francesco declina la parola riforma nel senso di chiamata all’uscita dall’introversione ecclesiale, al nuovo sforzo evangelizzatore, all’azione missionaria. Nell’ottica del papa, riforma non ha per niente a che fare con una riforma dottrinale nel senso di un cambiamento dell’assetto dogmatico o anche magisteriale della chiesa. La riforma per lui è l’accelerazione del rinnovamento impresso dal Vaticano II in chiave continuista e organica rispetto alla tradizione viva della chiesa di Roma. Quali sono gli strumenti di questa riforma bergogliana? Dal volume emerge un tema già presente in Evangelii Gaudium e cioè l’estensione della sinodalità nei processi decisionali ed organizzativi. Meno accentramento papale, più coinvolgimenti dei vescovi e, per estensione, del popolo cattolico. In una programmatica sintesi del contributo del volume i curatori scrivono: “la riforma della chiesa è la riforma sinodale delle chiese locali e della chiesa intera” (p. 12). Riforma è allora una dinamica partecipativa della chiesa di Roma che supera l’immagine piramidale della chiesa sostituendola con “una chiesa sinodale come piramide rovesciata” (p. 13). Si tratta quindi di apportare modifiche strutturali all’organizzazione interna della chiesa. Questo è l’aspetto più istituzionale e funzionale della riforma nell’ottica di papa Francesco. Quanto allo stile che dovrebbe sostenerlo dal di dentro, riforma “è attuare la rivoluzione evangelica ed evangelizzatrice della tenerezza” (p. 13). Una chiesa sinodale permeata dal primato della misericordia. Questi paiono le due assi portanti di quello che papa Francesco ha in mente quando parla e promuove la riforma della chiesa.  

I saggi di questo importante volume chiariscono, se ancora ce ne fosse stato bisogno, che il retorico riferimento alla “riforma” è di per sé equivoco in quanto, per capire ciò di cui si sta parlando, bisogna capire quale riforma si sta evocando. Papa Francesco è impegnato ad aprire processi lunghi più che ad incassare risultati immediati. La sinodalità “poliedrica” pare essere il contenitore istituzionale della chiesa impegnata in un cammino lungo di riforma. Secondo questa visione, la chiesa romana del futuro farà spazio al popolo cattolico, ma anche, in prospettiva, ai cristiani non cattolici facendo avanzare nella direzione indicata dal Vaticano II di essere una chiesa “sacramento di unità”. Riforma è e sarà dunque dentro lo struttura sacramentale, gerarchica e papale dell’assetto ecclesiologico cattolico, con un’accentuata vocazione alla sinodalità e alla partecipazione differenziata di diversi soggetti. Per la teologia evangelica, la domanda sorge spontanea: è questa una riforma evangelica? E cioè: è la sinodalità poliedrica immaginata dal papa una messa al centro dell’evangelo biblico che riconosce a Dio il primato e l’autorità di modificare secondo la Sua Parola le incrostazioni accumulate nei passaggi spuri della storia? Non è questa una riforma ancora molto al di qua e al di sotto delle istanze della Riforma protestante del XVI secolo (sola Scrittura, sola grazia, solo Cristo) e della concezione evangelica della riforma della chiesa e nella chiesa? 

Il punto semmai riguarda gli evangelici che sembrano essere affascinati dalla fenomenologia di Francesco senza sempre capirne la visione teologica. Quando il papa parla di riforma è alla “continuità nel cambiamento” del Vaticano II che bisogna guardare per iniziare a capire la scaturigine del suo impeto “missionario”.

Ovviamente il papa ha il diritto di pensare ed attuare la riforma che ritiene opportuna. Il punto semmai riguarda gli evangelici che sembrano essere affascinati dalla fenomenologia di Francesco senza sempre capirne la visione teologica. Quando il papa parla di riforma è alla “continuità nel cambiamento” del Vaticano II che bisogna guardare per iniziare a capire la scaturigine del suo impeto “missionario”. La sua idea di riforma è ispirata all’incremento della sinodalità che, per quanto allargata ed inclusiva, mantiene intatto l’assetto dogmatico del cattolicesimo romano da Trento al Vaticano I, compresi i dogmi mariani. Il motore interno di questo processo è la “misericordia” che il papa ha messo al centro della sua azione dal primo giorno della sua elezione. Anche in questo caso, al netto dello slancio encomiabile impresso all’incontro con l’altro e alla presa in carico reciproca, risulta difficile far coincidere l’accezione della misericordia del papa con la misericordia biblica tout court. Per questa ragione, sarà necessario mantenere alta la vigilanza sull’ingorgo che si sta verificando sulla strada della riforma. Molti ne parlano, anche autorevolmente, ma la domanda è e sarà: di che riforma stiamo parlando?