Raggiungere l’Occidente (VI): una presenza fedele sulla piazza pubblica
Il nuovo libro di Tim Keller How to Reach the West Again è composto da una serie di sfide che mirano a sollecitare le chiese a ri(?)conquistare la cultura occidentale con il messaggio dell’evangelo. Per provare a raggiungere questo obbiettivo, secondo Keller, occorre saper leggere in modo cristianamente critico la cultura dominante, attivare dinamiche evangelistische integrate alla vita, impattare la comunità ristretta ed allargata ed elaborare un contro-catechismo per l’era digitale. La quinta sfida riguarda la presenza di cristiani fedeli e preparati, intenzionalmente coinvolti nella sfera pubblica. Per quanto concerne il contesto nordamericano a cui l’autore fa riferimento, il punto è di comprendere che la cultura dominante non è più il prodotto del cristianesimo (ammesso e non concesso che lo sia) e che quindi le chiese non si possono aspettare di dover solo provvedere alla formazione “religiosa” dei credenti, dando per scontato che nelle loro occupazioni secolari ci siano tutte le possibilità di mantenere comunque degli standard e delle pratiche riconducibili al cristianesimo.
In una cultura dominata da pensieri e pratiche non-cristiane, le chiese devono scegliere una strategia. Essere guardinghi nei confronti del mondo e cercare di dominarne la cultura, allontanarsi completamente rinchiudendosi nel proprio mondo, o compromettersi facendosi assimilare sono tutte e tre strategie fallimentari e non riconducibili al messaggio biblico. La Scrittura infatti insegna ad essere sale e luce del mondo, a restare quindi fedeli pur essendo presenti nei diversi ambiti della sfera pubblica. Le chiese hanno il compito di aiutare i loro membri a vivere in modo intenzionale la loro fede sia nella sfera pubblica che nella vita privata equipaggiandoli e discepolandoli per vivere le loro vocazioni accademiche, negli affari e nel lavoro, in campo artistico, nei media, come giuristi, membri del governo e in ogni altra area della vita umana. Tutte queste sollecitazioni sono feconde. Rimane una domanda di fondo che emerge dalla lettura a distanza di questo libro. Siamo sicuri che la cultura occidentale (e nella fattispecie nord-americana) sia stata equivalente alla cultura cristiana? E’ vero che il cristianesimo evangelico ha avuto un forte impatto sulla cultura americana, ma altrettanto si può dire del deismo, del cattolicesimo, della massoneria, dell’ateismo. Inoltre i prodotti della cultura americana sono coincidenti con i valori cristiani? La risposta è no. Keller dà troppo per scontato quello che invece va problematizzato. Per quanto incidente sia stato il protestantesimo nella cultura USA, essa è stata ed è una versione lacunosa, difettosa e spuria di cultura “cristiana”.
Nel nostro Paese la sfera pubblica per secoli è stata dominata dalla cristianità espressa dal cattolicesimo romano. Il partito che più a lungo ha governato era espressione diretta del cattolicesimo, la televisione di stato continua a trasmettere la messa in diretta, la scuola pubblica contempla ancora l’insegnamento della religione cattolica e così via. Per questo motivo l’evangelicalismo italiano ha bisogno di ripensare al modo di affacciarsi alla sfera pubblica liberandosi dall’atteggiamento vittimistico (pur denunciando le ingiustizie) ed approfittando delle possibilità date da una nuova fase fatta di crepe nel vecchio sistema dovute all’infiltrazione della secolarizzazione e di credenze post-moderne.
Una visione evangelica di partecipazione alla sfera pubblica offre la possibilità di influenzarla non in vista del dominio o della prepotenza, ma con uno spirito di servizio da parte di persone fedeli e ferrati nella Parola. Il lavoro di scienziati, operai, filosofi, economisti e di ogni altro professionista cristiano, infatti, dovrebbe essere illuminato da un rigoroso pensiero teologico e la chiesa dovrebbe formare i suoi membri in modo adeguato alla costruzione di una visione del mondo solida e che comprenda ogni aspetto della vita, senza frammentarla in parti divise.
In Matteo 5,13 si legge che siamo sale e luce della terra. Il sale nei tempi antichi non era solo usato per insaporire i cibi, ma anche per conservarli e tenerli integri contro il deterioramento. Siamo quindi chiamati non solo a insaporire la cultura, ma anche a influenzarla positivamente con la capacità dell’evangelo di tenere vive le cose. In questo modo il Vangelo diventerà sale e luce della terra in modo molto più naturale ed efficace che con un approccio volto a dominare in modo politico la sfera pubblica o a fuggirla completamente riducendo il cristianesimo a una sola questione da vivere nella sfera privata.