Religione a scuola? Pensiamoci bene!

 
 

L’ora di religione va ripensata o abolita? Il protestantesimo storico italiano sembrerebbe incline a proporre cambiamenti che però non vanno al cuore della questione: l’inopportunità della presenza dell’insegnamento religioso nella scuola pubblica. 


In un articolo della rivista Riforma del 22 ottobre, “Ripensare l’insegnamento religioso nella scuola pubblica”, Ilaria Valenzi illustra la posizione degli evangelici aderenti alla FCEI sull’insegnamento della religione nella scuola statale (IRC) , posizione già espressa in passato nei lunghi anni che hanno segnato “l’impegno storico del protestantesimo italiano per l’affermazione del pluralismo e del rispetto dei diritti fondamentali di tutte le sensibilità, religiose e non, entro le mura scolastiche”. In questo articolo, si nota piuttosto l’impegno a porsi come diretti interlocutori della chiesa cattolica. 


È evidente fin dalle prime righe che la riflessione è mirata a “ripensare” l’insegnamento religioso nella scuola, non a metterlo radicalmente in discussione, come invece sarebbe necessario. Si parla di laicità e pluralismo, ma non ci si dispone a portare fino in fondo la battaglia per una vera libertà religiosa.


Parlare di laicità nella scuola, infatti, non ha senso se non si parla di laicità dello Stato e delle istituzioni, che siano portatori di una cultura libera da condizionamenti clericali e ideologici.

Non ci può essere una scuola statale laica, perché il nostro Stato non è veramente laico, nel senso di garante della libertà religiosa di tutti. Perché lo diventi, c’è bisogno di una vera legge sulla libertà religiosa e dell’abolizione del privilegio concordatario con la chiesa cattolica (non del superamento accennato nell’articolo), trattandosi di un “indecente compromesso”, come ormai è riconosciuto da molte parti, anche cattoliche.

Preoccupata della cultura sempre più secolarizzata e della mancanza di interesse dei giovani per le questioni religiose, Valenzi concorda con il vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, che l’attuale assetto dell’IRC non è più adatto a rispondere alle esigenze culturali odierne. 


In realtà non è mai stato adatto, non solo per le molte difficoltà di applicazione nel farraginoso sistema scolastico italiano, ma soprattutto per la sua collocazione all’interno del curricolo, il che esclude la piena facoltatività, riducendola a opzionalità tra le diverse possibilità (IRC, Attività alternativa, studio individuale ecc.), che vanifica la tutela della libertà e il rispetto di tutte le fedi e visioni del mondo.

Di questa situazione, sempre meno giustificabile, la chiesa cattolica ha già preso atto e si sta attivando per quella che chiamano “alfabetizzazione religiosa”.


Come si interpreta questa suggestiva espressione lo si capisce presto: potenziare l’ora di attività alternativa ma, soprattutto, “un ripensamento globale della materia (IRC), che si svincoli finalmente da un profilo esclusivamente confessionale e sappia tematizzare forme e limiti della presenza del religioso nella scuola pubblica”.


Riguardo all’ora alternativa, è stato già segnalato che si tratta di un ripiego, forse utile dal punto di vista pratico, ma senza alcun valore pedagogico, insostenibile teoricamente e, in definitiva, una surrettizia accettazione della presenza cattolica nella scuola statale.


Meritano più attenzione il “ripensamento” dell’IRC e le “forme e limiti” della religione scolastica. Certo, si può apprezzare lo sforzo di rendere l’ora di religione sempre meno confessionale e sempre più “culturale”, le si può dare un profilo più storico e scientifico, ponendo limiti allo zelo proselitistico di certi insegnanti, ma restano inevase tante questioni.

A quale titolo un insegnante è autorizzato a insegnare, interpretandole, le “sensibilità religiose” diverse dalla propria? Da quale cattedra si può trattare in modo neutrale il “fatto religioso”, quando è evidente che la neutralità, in ogni tipo di conoscenza, non esiste? Non si vede il senso di un’ora di storia delle religioni, quando esiste già una disciplina chiamata storia, che tratta per l’appunto anche gli aspetti religiosi.


Anzi, a dire il vero, tutte le culture sono intrise di aspetti religiosi. Nella scuola statale, piuttosto che di “alfabetizzazione religiosa”, ci sarebbe bisogno di alfabetizzazione tout court.

È noto, infatti, che il nostro sistema scolastico soffre di varie patologie (abbandoni, pluriripetenze, dispersione esplicita ed implicita, fenomeno dei NEET cioè di giovani che non sono a scuola né al lavoro, orientamenti disorientanti, divari territoriali, condizione di svantaggio dei migranti…) e, se ancora regge, regge per l’impegno del personale e delle famiglie.


Lasciamo quindi alla scuola il compito che le è proprio, liberandola da impegni che non la riguardano e non fanno altro che appesantire il suo funzionamento, non ultimo quello del mantenimento nei ruoli pubblici degli insegnanti di religione.

Per l’insegnamento della religione ci sono le famiglie e le comunità religiose, alle quali va garantita la libertà costituzionale di promuovere la loro religione, nei luoghi e nei tempi opportuni, liberamente e senza vergognosi compromessi per ottenere posizioni di privilegio nella sfera pubblica.